L’uscita del voluminoso “Songbook” dei Radiohead (un canzoniere con testi e accordi di oltre 160 brani, per la bellezza di 400 pagine, che vede la luce oggi 27 novembre) ci dà  la giusta ispirazione per provare a condensare in 10 episodi la loro straordinaria parabola artistica che, dagli anni ’90 ad oggi li ha proiettati tra i più grandi di sempre. Il compito di questa puntata della rubrica è particolarmente arduo, non solo perchè i brani pubblicati nella loro carriera sono ormai tantissimi, disseminati fra i loro 9 album di inediti in studio e le varie canzoni eseguite solo dal vivo, le tante b-side, ma soprattutto per il fatto di aver letteralmente mutato pelle ed espressione dal disco d’esordio “Pablo Honey” del 1993 all’ultimo “A Moon Shaped Pool”, pubblicato nel 2016. Dal fragoroso guitar pop all’elettronica, i Radiohead sono ormai un vero gruppo di art-rock. La loro evoluzione musicale e artistica può essere paragonata a quella di autentici mostri sacri come i Beatles e i Pink Floyd.

Con questa top 10 ho cercato di sintetizzare tutte le loro anime. Buona lettura.

Bonus Track ““ Creep

1992, dal disco “Pablo Honey”

Primo singolo della serie (se si esclude l’Ep “Drill”) e ora quasi ripudiato, bensì ripescato occasionalmente in alcuni live fra il tripudio dei fans, è la classica istantsong: la senti e già  ti appartiene con la sua tensione emotiva, la sua carica e la sua intensità . Manifesto perfetto del loser, più americana che inglese per le chitarre che strizzano l’occhio al grunge, per fortuna la storia ci dirà  che i Radiohead non erano l’ennesima band da One Hit Wonder, ma molto altro.

10 ““ Daydreaming

2016, dal disco “A Moon Shaped Pool”

Canzone onirica, nel testo e negli splendidi suoni, è magnificamente impreziosita da un video che è una sorta di cortometraggio del grande regista Paul Thomas Anderson ma anche uno scrigno dei segreti, per i tanti rimandi alla storia della band. La punta di diamante di un convincente album, quale l’ultimo di inediti “A Moon Shaped Pool”

9 ““ All I Need

2007, dal disco “In Rainbows”

Quando uscì lo splendido “In Raibows” lo considerai un giusto compromesso tra il lato più immediato, ma senza scadere nel “commerciale”, e quello più sperimentale della band. Pur ben congeniati e ricchi di sfumature, i brani non sono “destrutturati” musicalmente, e arrivano al cuore come capitava con episodi più diretti ricercabili nei primi tre album. Prova ne è la toccante “All I Need”, una canzone d’amore nuda e cruda, con un testo al solito dolce/amaro. La canzone, già  notevole su disco, tocca vertici assoluti nelle esecuzioni dal vivo.

8 ““ 2+2=5

2003, dal disco “Hail to The Thief”

Canzone assolutamente straordinaria per composizione, struttura, concettualità  (nel suo ispirarsi palesemente sin dal titolo a George Orwell, che utilizza l’insolita espressione nel suo capolavoro “1984”). Thom Yorke parla di alienazione, di spersonalizzazione dell’individuo e lo fa trasmettendo tutta l’ansia e la negatività  per il disegno di una società  in cui l’uomo è soggiogato e consapevole di esserlo. Musicalmente sembrano più canzoni in una, altro tratto caratteristico dei magnifici 5, che denota tutto il loro talento compositivo.

7 ““ Let Down

1997, dal disco “OK Computer”

Brano musicalmente solare, primo squarcio di luce nel crepuscolare album “Ok Computer”, che lo contiene assieme ad altre meraviglie. In realtà  le immagini evocate (con un testo che pare scritto ispirandosi alla tecnica del cut-up) sono tutt’altro che rassicuranti e sembrano assecondare la “frenesia” della vivace melodia, a rappresentare la velocità  e l’effimero del tempo che stiamo vivendo. Mancando un video ufficiale, pubblico una fedele esecuzione tratta dall’emozionante live tenuto lo scorso anno a Chicago.

6 ““ Everything In It’s Right Place

2000, dal disco “Kid A”

Se già  in “Ok Computer”, da molti considerato l’album migliore di tutti gli anni ’90, e che allo stesso tempo in pratica sancì a livello musicale la fine anticipata del decennio, si poteva intuire la svolta stilistica del gruppo, ascoltando la prima traccia dell’attesissimo seguito ci si capaciterà  subito di essere in effetti entrati nel nuovo millennio. Il produttore Nigel Godrich è fra gli artefici del cambiamento sin dal disco precedente, e qui asseconda le molte idee che entrano in circolo in studio e col tempo diventa quasi un sesto membro. Bastano poche note effettate, la voce filtrata dal vocoder e i loop ripetuti a dirci che i Radioheadnon saranno mai più gli stessi, se non a timidi sprazzi. La musica ora è fluida, le chitarre non sono più protagoniste, prevalgono le atmosfere ora cupe, ora malinconiche, ora glaciali e quel senso di ondivago e indefinito.

5 ““ Black Star

1995, dal disco “The Bends”

Ballata dolente e toccante allo stesso tempo, conThom Yorke che sembra quasi “gridare” all’amata tutta la sua insoddisfazione per il periodo, non certo tra i più felici, che la coppia sta vivendo. A fare la differenza non è solo la sua sincera e intensa interpretazione, alla Jeff Buckley, suo dichiarato modello all’epoca, ma anche il robusto arrangiamento per quella che si può definire la più riuscita ballata rock del gruppo, tratta dall’album “The Bends” con cui finalmente si fecero apprezzare anche in Patria, ottenendo infine grande successo.

4 ““ How To Disappear Completely

2000, dal disco “Kid A”

Canzone nichilista, metafisica, dove corpo e spirito sembrano appartenere a due persone diverse. Pur discostandosi dal sound di “Kid A”, nell’immaginario è forse quella che maggiormente lo rappresenta, con quel desiderio nemmeno troppo velato di “scomparire”, nascondersi, che sembrava metafora della scelta coraggiosa intrapresa dalla band giunta all’apice del suo successo. Magistrale l’arrangiamento d’archi di Jonny Greenwood, qui alle prese pure con le Onde Martenot, che lui stesso introdusse nello spettro sonoro dei Radiohead a partire da questo disco.

3 ““ Pyramid Song

2001, dal disco “Amnesiac”

Tratta da “Amnesiac”, album “gemello” di “Kid A”, nato e registrato nelle stesse sessions ma pubblicato separatamente e per certi versi complementare, questa canzone mostra il lato più struggente della band, con la sua oscura profondità , una musica dimessa ma a tratti solenne e un testo in cui non si comprende bene se Yorke sia a un passo dall’abisso o dal Paradiso. La musica finale è lì che ti avvolge (o ti stringe dentro, decidete voi”…) ma di certo ti lascia senza fiato

2 ““ Fake Plastic Trees

1995, dal disco “The Bends”

Canzone che ha il merito di far “sciogliere” ogni spettatore ai concerti, finanche a commuovere e avvicinare gli innamorati. Eppure il testo è uno dei più tristi e depressivi usciti dalla penna del leader, che si rivolge alla sua amata (non corrisposto) con parole anche sprezzanti e rancorose, mettendo in fila le abitudini di lei e il suo modo di vivere. Ma la ama e sente, nonostante la sua inadeguatezza, che potrebbe essere la persona che lei ha sempre desiderato. La musica che accompagna questa magnifica ballata è da pelle d’oca, da acustica e delicata cambia faccia con l’ingresso trionfale dapprima degli archi (scritti e arrangiati da Jonny Greenwood) e poi delle chitarre dello stesso polivalente Greenwood e di Ed O’Brien, a conferire epicità  al tutto. L’intensità  interpretativa nel frattempo ha raggiunto il suo apice.

1 ““   Paranoid Android

1997, dal disco “OK Computer”

Episodio centrale, cruciale, caratterizzante il punto di “non ritorno” dei cinque “ragazzi”, che da questo singolone in poi scombineranno le carte in tavola del rock mainstream. Con questo primo estratto da “Ok Computer”, i Radiohead prendono clamorosamente le distanze dai loro gruppi coevi, specie da quelli vicinissimi per provenienza geografica legati al fenomeno britpop, che proprio dall’uscita di “Ok Computer” appariranno in realtà  lontanissimi per attitudini e istanze. Il tutto è riassumibile negli oltre 6 minuti di questa vera e propria suite musicale, dove sembra in realtà  di sentire scorrere tre tracce in una, schizoide e malata come quegli inquieti e potenti versi partoriti dall’animo di Thom Yorke.

Ⴥ ℂℏ℟ḯʂ Ⴥ from Texas, USA / CC BY