Dopo il grandissimo successo su scala mondiale del suo debutto “At Least For Now”, uscito nei primi giorni del 2015, Benjamin Clementine è ritornato con il suo attesissimo sophomore alla fine del mese di settembre.

Scritto e prodotto dallo stesso musicista inglese, “I Tell A Fly” è stato registrato a Londra tra i RAK Studios, gli Abbey Road Studios e lo Studio 13.
Non è certo uno degli album più facili da digerire questo sophomore dell’artista di origini ghanesi: è un lavoro intricato, agitato e complesso, dove Clementine non ha paura di mostrare le sue influenze avant-gard (Erik Satie su tutti).

Il suo songwriting, invece, lo si puo’ notare già  anche da alcuni dei suoi titoli (“God Save The Jungle”, “By The Ports Of Europe” e “Phantom Of Aleppoville” sono solo alcuni esempi), è pesantemente condizionato dalle recenti problematiche geopolitiche che hanno colpito l’Europa e non solo.

“I Tell A Fly” non è certo un disco da prendere alla leggera, ma da ascoltare più e più volte per cercare di comprenderlo e di apprezzarlo: la struttura dei suoi brani non è quella tipica della canzone pop, puo’ essere stravagante, eccentrica ed è capace di regalarci sensazioni nuove e inaspettate anche solo attraverso un coro, delle percussioni fragorose o una melodia creata con il piano, passando da un sentimento a un altro nel giro di pochi attimi.

E’ abbastanza inutile perdere troppo tempo a descrivere quanto sia bella la voce di Benjamin, crediamo, invece, che sia più importante far comprendere a chi leggerà  questa recensione quanto sia importante nell’economia del disco e quale sia il suo potere nel creare emozioni forti e sincere a chi la ascolta.
Questa seconda opera del musicista inglese è diversa e, in un certo senso, unica perchè sa andare oltre alle barriere del genere: Clementine dimostra di non aver paura di provare e sperimentare e questo suo nuovo LP riesce ancora una volta a mettere in luce il suo grande cuore.