Dalla Nuova Zelanda con un piacevole gusto melodico e una sensibilità  pop assolutamente raffinata. Stiamo parlando dei simpatici Salad Boys, che arrivano al secondo disco della loro carriera e mantengono saldi e consolidati tutti quei paragoni che li danno come continuatori della tradizione ‘made in Flying Nun Records’. Non potrebbe essere altrimenti. A farla da padrone sono preziosi giri chitarristici che trovano sempre gancio melodico azzeccato e un ritornello perfettamente costruito.

Ci possiamo scorgere echi di REM e Byrds ma anche uno spirito quasi anni ’90, tanto che tirare in ballo uno come Evan Dando nel suo periodo migliore non è certo una blasfemità . Il jangle pop, in cui gli arpeggi si muovono morbidi, sa anche sporcarsi, a tratti, di un piglio quasi post-punk (“Blown Up” in apertura è davvero una lama di rasoio) o power-pop (“Psych Slasher”), che rende il tutto più frizzante e variegato, mentre i testi di Joe Sampson non ci paio per nulla solari o allegri, ma tutt’altro, quasi al confine con la paranoia per certi aspetti. In realtà  poi altre variazioni sul tema non mancano, sia quando i ritmi rallentano e pare emergere il fantasma folk di Neil Young, così come pare ben conosciuta la sapienza indie di una band come gli Yo La Tengo.

E’ proprio questa varietà  che ci fa apprezzare una band come i Salad Boys, che non inventano nulla di nuovo, ma al di là  dei numeri più sonici, sanno in realtà  catturare la nostra completa attenzione proprio nei momenti più sornioni e avvolgenti, in cui si muovono sotto traccia, tenendoci sulla corda, come se qualcosa dovesse arrivare da un momento all’altro e qulle chitarre appena sporcate o un assolo piazzato nel punto giusto, beh, fanno la differenza. Avevamo fiducia in loro e ci hanno ripagato con un gran bel disco!