Poco dopo l’uscita dell’ultimo disco (“Musica per noi”, Bomba Dischi, 2018, leggi la nostra recensione), abbiamo incontrato la banda di PoP_X a Firenze. Durante la mezz’ora prima del concerto del 16 gennaio, nel camerino del Viper abbiamo chiacchierato con Davide Panizza, Ilaria Ciampolini e Matteo Domenichelli della nuova formazione, della passione per le balere, dell’uso del linguaggio di PoP_X, di come si vive a Trento e di molte altre cose. Ecco l’intervista che ne è venuta fuori.
Davide: Io sono Davide Panizza, ho iniziato a studiare il sassofono all’età di due anni e, dopo un grave incidente, ho smesso. Adesso ho ripreso, da quando ho scoperto l’aerofono, grazie alla passione del jazz, portata all’interno del gruppo da Matteo Domenichelli.
Tommaso: A proposito di Matteo, l’attuale tour, che porta in giro per la prima volta “Musica per noi”, prevede una nuova formazione, con strumenti musicali convenzionali.
Francesca: Niccolò di Gregorio suona una batteria, non un fusto di birra, per dire.
T.: E si sono aggiunti Matteo al basso, Ilaria alla tastiera e una ballerina in scena. Come mai questa variazione? Vi siete domandati se questo potrebbe cambiare il forte legame che avete col pubblico, abituato al “disordine” dei vostri live?
D.: Per ora, noi siamo contenti e anche il pubblico, sembra.
Matteo: è sempre gran baldoria!
Ilaria: Secondo me, la componente di follia o di svago e delirio c’è comunque, semplicemente un po’ più”… live.
M.: Sì, c’è, solo che lo sappiamo solo noi!
I.: E comunque c’è la parte finale: il delirio è nel finale. E, soprattutto, è tutto live, quindi è più fico.
D.: Oltretutto, diciamo che gli strumenti sono tutti elettronici. Lui (Niccolò) suona la batteria, però elettronica, io suono il sassofono, però elettronico. Sono tutti strumenti abbastanza inutilizzati, alla fine.
F./T.: Per questo tour avete scelto anche locali inaspettati”…
D.: Le balere!
F./T.: Esatto, sale da ballo liscio e discoteche over 50. Avete deciso di dare una degna ambientazione alla prospettiva dell’invecchiamento che si trova nel disco o è arrivato il momento di sparare «ai vecchi dj » (“Sparami”)?
D.: Sì, c’è stata la possibilità di provare ad andare là , in questi locali. Alla fine, di tutti i locali solo due sono delle balere.
F./T.: Ne erano previste tre, perchè oltre a Torino (Le Roi Music Hall) e Milano (Arizona 2000), quando sono uscite le date del tour, anche per Padova avevate scelto una balera (Dancing P1), prima che il concerto fosse spostato al Mame.
D.: Sì, per motivi economici. Quindi, più che altro, mi sembrava carino provare a cambiare. Non avevo mai suonato in una balera così bella come quella dove siamo stati ieri a Torino.
F./T.: Ieri com’è andata? C’era gente da balera fra il pubblico?
Davide: No, no, pubblico normale.
M.: Però mi hanno detto che è stato avvistato qualche nonnetto un po’ spaesato!
F./T.: è la seconda volta che lavorate con un’etichetta, dopo anni passati a caricare secondo i propri ritmi un’enorme quantità di materiale su Youtube e Bandcamp, talmente tanto da esordire con un best of. Questo approccio discografico tradizionale sta stretto alle vostre canzoni o siete riusciti ad adeguarvi?
D.: Non è cambiato praticamente niente, solo che siamo un po’ più aiutati nel fare certe cose, abbiamo dei budget per comprare gli strumenti. No, è semplicemente migliorato tutto in positivo, non abbiamo dovuto adeguarci. Stiamo bene in questa regolarità . La Bomba Dischi è fighissima, sono bravi.
F./T.: Dalla domanda precedente ne nasce diretta un’altra sul lavoro che sta dietro ai pezzi di PoP_X.In un post su Facebook, tu stesso hai parlato di un accanimento terapeutico come prassi per molte tue canzoni, che in effetti emerge dalle svariate versioni di molti tuoi pezzi reperibili in giro per il web. C’è un prodotto finale di cui ti ritieni soddisfatto e su cui non torni a lavorare oppure effettivamente le canzoni sono sempre dei work in progress?
D. : No, no, quelle che vanno sul disco rimangono là . Poi live le cambio. Funziona così, a meno che tu non faccia come Kanye West, in quel disco dove aggiornava le tracce settimanalmente, cambiava gli arrangiamenti (“The Life of Pablo”, GOOD/Def Jam, 2016).
F./T.: In un gruppo Facebook dove si parla spesso di musica italiana, un utente ha chiesto che senso abbiano i PoP_X. Un altro utente ha risposto: «L’indurti a porti questa domanda ». Senza dimenticare il suo lato di immediatezza coinvolgente, PoP_X ha una caratteristica importante che non è per niente pop, perchè ti chiede di prendere posizione, di riflettere su quello che stai vedendo/ascoltando. Non ti sei mai domandato se questo potesse essere un ostacolo per il pubblico?
D.: No, non penso che sia un ostacolo. Voglio dire, non è importante, alla fine, il punto di vista del pubblico.
F./T.: Le cover di PoP_X seguono la tecnica del dètournement, inserendo un elemento straniante (l’arrangiamento musicale, ma anche parole nuove e fuori luogo rispetto al testo originale) in un contesto dato e coerente. Come sei arrivato a questo procedimento?
D.: Secondo me, sono diverse perchè pensiamo che quelle originali possano essere migliorabili. Magari, in una canzonemi colpisce la melodia, però invece il testo è banale, è stupido, e allora lo faccio ancora più banale, oppure lo rendo meno banale. Cerco di estrapolare gli elementi che mi sono piaciuti, li tengo, per poi aggiungere dei livelli sul piano del testo o dell’arrangiamento.
F./T.: Commentando l’elezione di Trump, un anno fa Sgarbi ha detto una cosa acuta: «Trump dà felicità , perchè Trump ci assomiglia. Trump è la parte peggiore di noi, è il trionfo della libertà ». Si potrebbe dire la stessa cosa del testo di “Chiamalo negra” (che tu, su Facebook, hai definito «inutile, fastidioso, scritto da un mentecatto »). Questo è un esempio perfetto di una delle cose più interessanti di PoP_X, cioè l’uso disinibito del linguaggio. Le parole “scorrette” vengono private del loro contenuto semantico, cantate come semplici forme vuote e liberatorie. Il Trump che vive represso dentro di noi si può finalmente esprimere, può dire negro e frocio, può dire addirittura di essere invaghito dalle bambine (“Regina”) senza che queste parole abbiano un peso reale. Come sei arrivato a questa prassi linguistica?
D.: Nel caso di “Regina” è una cosa vera (ride). No dai, dipende, in alcuni casi sono magari vuote, in altri no.C’è un’ulteriore difficoltà nel comprenderlo. Uso questo linguaggio perchè è congeniale al mio modo di esprimermi, perchè mi diverte usare il linguaggio in questo modo, sia nella quotidianità che nelle canzoni. Nella quotidianità poi, ovviamente, il linguaggio è vincolato perchè devi usarlo in maniera funzionale, invece in una forma come la canzone sei libero totalmente. Anzi, il limite è il fatto di essere abituati a usare il linguaggio funzionalmente e, quindi, non riuscire veramente a esprimersi al di là della funzione del linguaggio. In realtà , anche se i testi sembrano liberi, io mi sento ancora molto ingabbiato rispetto a quello che potrei fare.
F./T.: La domanda successiva nasce spontanea: quanto sei libero quando scrivi? Che ruolo gioca l’autocensura nel passaggio dall’idea nelle vostre teste al prodotto finale?
D. : Eh, ultimamente che ho iniziato a insegnare mi scazza un po’ usare certe parole. In questo ultimo disco mi sono un po’ imposto di non dire le parolacce, anche se avrei voluto dirle. Ne avrei dette molte di più, sarebbe stato molto più schifoso. Mi sento la libertà un po’ limitata dalla professione che svolgo oltre alla musica.
F./T.: Nella prima topica, Freud suggerisce l’idea di un conflitto tra principio di vita e principio di morte. Il primo viene ispirato da una pulsione all’autorealizzazione di sè, l’altro da una tensione (auto)distruttiva. Si può dire che la tua musica stia esattamente in mezzo a questi due estremi, che sia dettata da un’urgenza espressiva e una distruttiva insieme?
D.: Certo, come tutte le persone stanno in mezzo fra queste due cose, fra queste due pulsioni.
F./T.: Però, in effetti, espliciti di più quella (auto)distruttiva”…
D.: Dite che c’è uno sbilanciamento, una mancanza di equilibrio? C’è tanta autodistruzione quanta vitalità , dentro di me. Magari manca più la parte intermedia, però c’è anche quella, quindi in realtà non mi sento così squilibrato. Semplicemente, vale la pena di vivere tutte e tre le cose, più che solo quella centrale tra i due estremi. E poi bisogna farlo venire fuori.
F./T.: Guardando i video delle canzoni di PoP_X, l’ambiente naturale è molto presente, anche nella forma di zone intorno a Trento. La posizione periferica della tua città quanto influenza il tuo punto di vista sulle cose che succedono, che vedi, senti e di cui poi scrivi?
D.: Non lo so, perchè ho vissuto là , ma ho vissuto anche altre realtà , non so quale abbia influito più delle altre sulla mia personalità . Forse, però, qualsiasi cosa influisce di più quando cresci in un posto. Più che l’ambiente in sè, magari le persone, il modo in cui sono, i loro caratteri. C’è più accentuazione delle caratteristiche personali. Mi viene da dire che siamo una realtà più piccola, quindi ogni persona è più misteriosa.
F./T.: Non senti mai la mancanza di qualcosa di più grande?
D.: A me piacciono entrambe le cose. Mi piace sia la folla, mi piace vivere in mezzo a tanta gente, in una città , però mi piace anche stare nelle zone più riparate. Rispetto a Trento, mi capita di provare un sentimento negativo, che però mi piace.