Disimpegnati e adorabilmente leggeri quel tanto che basta, i londinesi Geowulf cominciano a dare le prime spallate all’inverno, immaginando che ogni ascoltatore possa raggiungerli in quell’acqua trasparente che piazzano nella copertina del loro album d’esordio.
Una manciata di singoli per portare a galla un piacevole rimando agli anni ’80, brezze dream-pop che synth ariosi e chitarre ben calibrate (messe sempre nel punto giusto a rinforzare una trama sonora) disegnano con disinvoltura. L’importante era confermare tutto questo sulla lunga distanza, con questa “spada di Damocle” della descrizione della loro musica che li definiva come un incrocio tra Lana Del Rey e Mazzy Star che pendeva sulle loro teste. Diciamolo subito, conferma avvenuta (anche se alla lunga il gioco necessiterebbe di qualche variazione, mentre sul breve tutto fila meglio) e definizione che, francamente, non trova più di tanti appigli, perchè qui tutto è molto meno pretenzioso e anche meno suggestivo dei nomi citati, ma la cosa non ci disturba più di tanto.
Star Kendrick e Toma Banjanin non appesantiscono il discorso e vanno sul sicuro con questo ‘beach-pop’ che necessita il giusto grado di abbandono e uno sforzo piuttosto contenuto nell’ascolto. Tra citazioni anni ’60, piacevoli ritornelli e tinte mai particolarmente accese -sebbene intriganti e accattivanti (“Don’t Talk About It” su tutte)- ecco che, quando il lato a presa rapida prende il sopravvento (“Drink Too Much” e “Saltwater”), gli occhiali da sole sono davvero richiesti per proteggere gli occhi dai bagliori accecanti del pop.