Gli opposti si attraggono, e i Legend of the Seagullmen ne sono un esempio lampante. In questo vero e proprio supergruppo militano Brent Hinds, chitarra e voce dei Mastodon, e Danny Carey, batterista dei Tool. Mentre il primo, da sempre iperattivo, compare su ben tre dischi pubblicati nel solo 2017 (“Emperor of Sand” dei Mastodon, “Bad With Names, Good With Faces” dei West End Motel e l’omonimo dei Fiend Without a Face), il secondo fa parte di una delle band meno prolifiche della storia della musica: il seguito di “10,000 Days” è in cantiere da ormai un decennio abbondante. Al loro fianco vi sono i chitarristi Tim Dawson e Jimmy Hayward (quest’ultimo noto soprattutto come regista dei film d’animazione “Ortone e il mondo dei Chi” e “Free Birds ““ Tacchini in fuga”), il bassista Pete Griffin (Zappa Plays Zappa, Dethklok), il tastierista Chris DiGiovanni e il misterioso vocalist David “The Doctor” Dreyer, la mente dietro il concept “nautico” di questo album di debutto senza titolo.

Molti saranno delusi dal fatto che i Legend of the Seagullmen non hanno praticamente nulla in comune nè con i Mastodon, nè con i Tool. Invece di sfruttare l’occasione per dar vita a qualcosa di veramente interessante ““ il livello di talento, almeno per quanto riguarda Hinds e Carey, è decisamente molto alto ““ il supergruppo preferisce tarparsi le ali da solo, limitandosi a ripetere a pappagallo la lezione dei grandi classici hard rock e heavy metal degli anni Settanta e Ottanta senza metterci dentro un briciolo di personalità . Tra le immagini di naufragi, orche assassine e calamari giganti che si susseguono nei testi di Dreyer ““ la cui prova dietro al microfono è uno dei punti deboli del disco ““ i Legend of the Seagullmen si sforzano per tenere a galla la nave, seguendo le stelle di Black Sabbath, Mercyful Fate, Saxon e Iron Maiden per non perdere la rotta. Le atmosfere da colonna sonora western di “Curse Of The Red Tide” e “Ballad Of The Deep Sea Diver” sono sicuramente suggestive, ma i Metallica di “The Unforgiven” sono ancora un lontano miraggio. Questo lo sanno bene anche i nostri “uomini gabbiano”, che altrove citano esplicitamente proprio la band di James Hetfield (il copia e incolla del riff di “Seek & Destroy” in “Rise Of The Giant”). Gli spunti progressive di “Shipswreck” servono a mettere in mostra la mostruosa tecnica di Danny Carey dietro le pelli (come se ce ne fosse bisogno), così come i numerosi assoli di chitarra sparsi per tutto l’album ci confermano per l’ennesima volta la classe di Brent Hinds alle sei corde. Le leggere sfumature “mastodontiche” di “The Fogger” e “The Orca” lasciano intravedere qualche spiraglio di originalità , ma non è abbastanza per evitare una sufficienza davvero striminzita.