Cercare di apporre etichette alla musica dei Suuns è un’impresa tanto difficile quanto inutile. è dai tempi dell’esordio “Zeroes QC”, pubblicato nell’ormai lontano 2010, che questo coraggiosissimo quartetto canadese procede a briglia sciolta, infischiandosene di qualsiasi tipo di tendenza o compromesso utile ad allargare la cerchia di ammiratori. Eppure, sotto una spessa coltre di dissonanze, effetti e innumerevoli stranezze, si nasconde da sempre un lato pop che, in qualche rara occasione, è riuscito a emergere con particolare evidenza. è questo il caso di due tra i loro brani più noti: “Up Past The Nursery” (dal già citato “Zeroes QC”) e “2020” (da “Images du Futur” del 2013), con quest’ultimo addirittura incluso nella colonna sonora della serie tv “Fear The Walking Dead”. Non aspettatevi nulla di simile dal nuovo album “Felt”, però: sarà per il periodo storico alquanto turbolento, o più semplicemente per la voglia di continuare a fare un po’ come cavolo gli pare, ma questa quarta prova in studio rappresenta l’ennesimo passo in avanti verso l’indecifrabile da parte dei Suuns, che aggiungono alla loro personalissima ricetta artistica dosi abbondanti di nervosismo e angoscia.
Sono proprio questi due gli stati d’animo preponderanti nelle undici tracce che compongono “Felt”, un lavoro estremamente complesso ma allo stesso affascinante. Il primo ascolto è più che sufficiente per rendersi conto di trovarsi al cospetto di un’opera assolutamente fuori dalla norma: l’impressione è che la band di Ben Shemie abbia deciso di abbracciare il lato più dark del krautrock per unirlo a uno stile che potrebbe essere definito “urbano” – a tratti quasi hip hop – fatto di sample, loop e ritmiche spezzate. La batteria ibrida e ultraprocessata di Liam O’Neill ruba la scena agli altri strumenti, costruendo trame articolatissime sulle quali i brani si sviluppano in maniera imprevedibile ed eccitante. Le canzoni di “Felt” potrebbero essere state scritte e registrate da un’intelligenza artificiale in grado di generare musica psichedelica proceduralmente. Il vocoder, le chitarre “spezzettate” e i sintetizzatori analogici che riempiono i 46 minuti del disco annullano la distanza tra uomo e macchina, dando vita a un crossover caotico di generi nel quale a prevalere è una costante sensazione di agitazione, ben rappresentata nelle frenetiche “X-ALT”, “Watch You, Watch Me”, “Daydream” e nel drone grezzo di “Moonbeams”. La quiete elettronica che avvolge “After The Fall”, “Control”, “Make It Real” e “Peace And Love” è solo un’illusione: il pericolo è sempre dietro l’angolo, e la tensione è talmente elevata da far mancare il respiro all’ascoltatore.
Quelli che potrebbero sembrare difetti sono in realtà i punti di forza di “Felt”, un album così audace da porre il gruppo di Montreal sulla stessa linea immaginaria che unisce grandi innovatori del rock come King Crimson e Scott Walker ai più moderni Battles, Autolux e Liars. Arrivare alla fine di questo trip dall’alto tasso sperimentale è una sfida ardua ma assolutamente appagante.
Credit Foto: Joe Yarmusch