E’ un album riuscito ” a metà ” questo di Zibba, l’ottavo della sua carriera, anche se di fatto è il primo solo a suo nome, senza i sodali Almalibre. In bilico tra spinte pop fino a prima sottese per non dire assenti e la ricerca della qualità  autoriale, da sempre suo vero punto di forza.

In questo “Le cose” il cantautore ligure che ebbe un picco di popolarità  partecipando con successo a Sanremo nel 2014 tra le Nuove Proposte (dove arrivò secondo, vincendo con pieno merito l’ambito Premio della Critica “Mia Martini” con la raffinata “Senza di te”) mira infatti a raggiungere una fetta di pubblico più vasta di quella che già  fedele lo segue dagli inizi. Scelta legittima visto che c’è sempre bisogno di artisti con la A maiuscola che possano in qualche modo spezzare il monopolio di starlette occasionali o dei “grandi vecchi rassicuranti” della musica leggera.

E Zibba indubbiamente lo è, Artista vero, perchè anche nel suo album più “facile” non cerca scorciatoie per raggiungere lo scopo ma infila una serie di canzoni che si fanno ascoltare in scioltezza e che scorrono via che è un piacere.

Personalizzando al massimo questa recensione, mi ci metto anch’io però tra coloro che lo apprezzano dai suoi inizi con gli Almalibre (il mio album preferito è “Senza smettere di fare rumore” ma anche “Il passo silenzioso della neve”, più recente essendo stato pubblicato nel 2012 è notevole muovendosi tra musica d’autore con spruzzate jazz) e proprio per questo quasi fatico a riconoscerlo in canzoni come “Quando siamo bene” con la giovane Elodie. Non che si tratti di una brutta canzone, anzi, le loro voci si sposano bene, ma è proprio l’impianto musicale (a cura di Mace, alias Simone Benussi) a lasciarmi un po’ l’amaro in bocca.

E’ un disco dove va certamente apprezzato l’eclettismo e la padronanza con cui il Nostro cambia registro, e non mancano gli spunti lodevoli, a partire dall’iniziale, molto ritmata “Quello che si sente”, dall’appeal radiofonico e che potrebbe funzionare nei vari Airplay generalisti.

A parte quella citata con Elodie sono molte le collaborazioni illustri per questo album. La più riuscita è quella con Alex Britti per la dolce amara “Le cose inutili”. Marco Masini presta invece la sua voce roca e profonda in “Sesto piano”, altro brano di natura black. Diversi brani in fase di produzione (affidata allo stesso Zibba, coadiuvato da Simone Sprocatti) presentano queste tinte: penso soprattutto a “Dove si ferma il sole”, a mio avviso il miglior brano del disco che si apre in un arioso ritornello.

“Un altro modo ” con Diego Esposito è una canzone lontanissima dagli stilemi dei miei due dischi più amati degli inizi con i suoi coretti alla Coldplay ma ascolto dopo ascolto è quella che più ti rimane in testa.

Per ritrovare il sound degli esordi si deve giungere alla fine del disco con la paradigmatica “La traccia che finisce il disco”. A sintetizzare al meglio però le due anime dell’artista, quella più pop e quella più ricercata arriva con un colpo di coda la malinconica “Un unico piccolo istante”, autentica gemma (all’inizio calda e soffusa e con un arrangiamento jazzato, che poi vira su una moderna commistione di black e r’n’b).

A conti fatti “Le cose” supera per qualità  gran parte dei dischi italiani di matrice pop ma a mio parere non regge il confronto con l’intensità  e la profondità  che emanavano i suoi primi lavori. Senza scomodare paragoni illustri, la storia della musica italiana è piena di artisti che pian piano si sono avvicinati alla musica commerciale. Lo si può fare senza smarrire le proprie doti. Alcuni si sono “persi”, Zibba invece ha dimostrato che “si può fare”,  anche se è prematuro pensare che il gran salto nel mainstream possa avvenire con questo, pur dignitoso, album.