La Joan che sale sul palco de La Salumeria della Musica (locale storico della scena musicale milanese che purtroppo chiuderà definitivamente i battenti a fine aprile) nella serata del 27 marzo è l’incarnazione coerente di quella dannata devozione espressa già nelle liriche della sua ultima uscita discografica e in questo caso totalmente rivolta a favore del suo pubblico.
L’attesa era tanta per quello che si può considerare un vero e proprio mini tour (ben 4 date che hanno toccato la nostra penisola) nel tour e ciò lo si percepisce benissimo dalla numerosa affluenza di una platea che si dimostrerà attenta e partecipe quasi in maniera liturgica per tutta l’intera durata dell’esibizione.
Le danze vengono aperte alle 21.33 da Sarah Stride, artista milanese, che con 5 dei suoi brani propone un sound sofisticato (forse fin troppo) che si ispira ad un certo songwriting alternativo anglo/americano ma anche al sound nostrano di Meg o del Battiato più sperimentale.
Alle 22.25 invece è il momento della Joan As Police Woman band ! E’ così che Joan ci terrà a precisare a fine show volendo sottolineare l’importanza di eliminare qualsiasi logica volta a porre su gradini differenti artista e musicisti a supporto.
A maggior conferma dello spirito di squadra sono le divise ufficiali indossate da tutti gli elementi che Joan cercherà di promuovere durante il concerto come un perfetto imbonitore, ovvero quelle giacche color vinaccia in total american style anni 80 a metà tra lo chic e il tamarro con il nome dell’artista impresso sul dorso.
Giacca che la cantante toglierà prontamente già al termine della prima canzone a causa del caldo eccessivo nel locale (It’s summer here ripeterà incredula in più di un’occasione) decisamente in contrasto rispetto alle temperature esterne per nulla gradevoli.
Pare bizzarro ma gli intermezzi tra un brano e l’altro con cui Joan intratterrà la platea, raccontando con disinvoltura aneddoti a volte ironici a volte profondi e toccanti, vanno quasi a ricoprire la medesima valenza della bellezza sonora espressa dalle canzoni stesse.
L’inizio dello show ripropone nel medesimo ordine le prime 3 eleganti ballads dell’ultimo disco interpretate con il pilota automatico senza particolari variazioni rispetto alle versioni originali, quasi come a voler prendere le dovute misure. Cronologia che viene prontamente interrotta dal ripescaggio di 2 brani tratti dai primi 2 album dell’artista, quali “Eternal Flame” e una “Honor Wishes” che, con un finale quasi psichedelico, inizia a cambiare la marcia della permormance.
La svolta della esibizione avviene definitivamente con “What Was It Like” (presentata con un aneddoto e un prezioso ricordo legato al padre scomparso) quando, proprio all’inizio del brano, l’emozione vince sulla tecnica facendole mancare l’ingresso vocale sulla prima strofa che riprenderà poi immediatamente ma mettendola completamente a nudo rispetto al pubblico in sala.
E’ proprio questo l’elemento speciale che risalta, ovvero la scelta di darsi senza particolari freni anche a rischio di non essere perfetti.
Con “Steed (for Jean Genet)” lascia spazio nel finale all’ottima sezione ritmica basso/batteria ponendosi ai margini del palco e accompagnando il finale con il ritmo del suo tamburello, lasciando così la scena e i meritati applausi ai suoi ragazzi.
Ottimo l’intro pinkfloydiano e l’alchimia delle tre tastiere su “Rely On”, credibile la versione live di quel brano meraviglioso e complesso che è “Valid Jagger” e arriviamo così, tra le altre, al temine della prima parte con l’apice della serata che è “The Silence”. Preceduta da un elogio alla marcia che sta avvenendo nel suo strange country contro l’uso facile delle armi, la canzone conferma anche dal vivo la sua architettura perfetta amplificandone la potenza con un finale accompagnato dai battiti di mani di tutti i musicisti sul palco in simbiosi con il pubblico.
Si rientra per i bis con una versione sussurrata chitarra e voce di “Christobel”, una “The Magic” meno sontuosa e tenuta volutamente bassa nell’apertura vocale del ritornello e una conclusiva versione stravolta di quel pezzo meraviglioso che è “Kiss” di Prince.
Mi è capitato troppo spesso di assistere a concerti in cui artisti che, pur avendo scritto brani o dischi memorabili, salgono sul palco quasi come se dovessero timbrare il cartellino con lo stesso entusiasmo di iniziare il proprio turno in fabbrica.
Questa serata invece ci ha offerto una performance di un’artista che riesce a coniugare in maniera sublime la qualità della propria musica ad una disponibilità /umiltà (la scelta di scendere a fine concerto al banco del merchandising ne è la prova) davvero uniche. Standing ovation quindi per “the coolest woman in pop“!