Mi sento in imbarazzo a dare un voto a questo disco, perchè francamente dare un voto ai ricordi di un uomo verso la propria compagna è assurdo. Superare un lutto, incassare la perdita e continuare, senza dimenticare. Potremmo mai giudicare e votare una simile sensazione? Io non me la sento.
Pensieri, parole e immagini che rimandano a una persona assente. Un lutto da elaborare, la continuazione di un percorso iniziato con il disco precedente. Canzoni nude, minimali (ci sorprende qulla chitarra elettrica bruciante all’inizio e al centro di “Earth”), istintive, in cui ogni tanto ritmica e un piano fanno capolino, per accentuare quasi il fatto che tutto resta una cosa privata, catartica. Noi siamo spettatori consapevoli ai quali Phil Elvrum confida, con acume, sincerità e anche ironia, memorie e suggestioni. Le raccogliamo, non giudichiamo e non diamo nemmeno cenni di assenso, anche se lo vorremmo fare. Ascoltare e partecipare in silenzio al dolore di quest’uomo, ecco cosa possiamo fare; uomo, ancora prima che artista.
Che la musica lo stia aiutando a superare il momento è una fortuna, ma, ripeto, non è tempo, ora, di voti o considerazioni artistiche.