Grandi cambiamenti per Kyle Thomas, l’eclettico e avventuroso musicista che si nasconde dietro il nome King Tuff. Una decina d’anni dopo un inizio fulminante e incasinato (con la doppietta “Mindblow” / “Was Dead” ormai pezzi da collezione) e gli album successivi, che riproponevano una sana e contagiosa miscela di garage rock e power / indie pop, il rumore folle e distorto non basta più al ragazzo del Vermont. “The Other” è il disco in cui cade la maschera di King Tuff e vediamo le vere sembianze di Kyle Thomas. Il re è musicalmente nudo stavolta, libero da quella che era forse diventata una gabbia e non solo un buffo alter ego, senza dover per forza rispettare o copiare quanto fatto fin qui.
Via le chitarre distorte, via il suono a bassa fedeltà che l’ha reso famoso. Nel garage questa volta si parcheggia la macchina (magari proprio quella Subaru blu del 1982 che fa bella mostra di se nella title track) poi Kyle Thomas sale le scale ed entra nei The Pine Room, lo studio di registrazione casalingo in cui “The Other” è nato. Autoprodotto, come lo era stato “Was Dead” e proprio come allora Mr. Thomas ha suonato tutti gli strumenti tranne batteria (affidata ancora una volta all’amico Ty Segall) e sassofono (di cui si è occupato Mikal Cronin). Cerca l’altro se stesso King Tuff e lo trova in un suono più pulito, raffinato pop rock psichedelico che a tratti ricorda Dent May e deve qualcosa anche ai Beach Boys.
E’ un Kyle Thomas decisamente più serio e forse anche più maturo quello che ritroviamo nel falsetto acido di “Raindrop Blue” e nelle armonie di “Thru the Cracks” create con l’aiuto di Jenny Lewis e Greta Morgan (Springtime Carnivore) ai backing vocals. Capace di giocare con gli arrangiamenti nell’intensa “Psycho Star”, con una gran linea di basso e un ritmo scanzonato che è la fotografia in note della psichedelia west coast (che Thomas conosce bene visto che da anni vive a Los Angeles). Spiccano tra le altre il blues movimentato di “Infinite Mile”, il rock garbato di “Circuits in the Sand” e una “Birds of Paradise” trascinata dal sassofono di Cronin.
La palma di migliore in campo spetta però a “Ultraviolet”, che fa da trait d’union tra il King Tuff di ieri e quello di oggi. Quando un artista cambia stile in modo così netto rischia grosso e Kyle Thomas lo sapeva bene. Ha lasciato che le canzoni lo trasportassero dove volevano senza porre limiti alla provvidenza musicale e alla fine la scommessa la vince. “The Other” è sicuramente diverso rispetto al passato ma non sfigura se messo accanto a “Black Moon Spell” o “King Tuff”. Non è più il party animal che era Mr. Kyle Thomas ma non per questo ha venduto l’anima al diavolo. Stravagante come sempre.
Credit Foto: Olivia Bee