Tutto ha inizio tra il 2014 e il 2015 da un’idea del cantante e compositore Sergio Bertolino che da un paio di idee abbozzate durante la sua permanenza a Manchester si ritrova, a distanza di qualche anno, ad aver tra le mani una vera e propria band formata da 6 elementi: Tony Guerrieri al basso, Francesco Magaldi batteria e a seguire Giuseppe Bruno e Lucio Filizola alle chitarre con Giovanni Caruso alla supervisione del suono.
Negli anni la band registra del materiale inedito, molto del quale anche ripescato da vecchie composizioni di Bertolino arrivando a pubblicare il 26 Marzo 2018 l’omonimo a autoprodotto debut “Enjoy the Void”. Un Rock alternativo, ricco di qualsiasi tipo di contaminazione e veramente variegato che ricorda molti nomi del panorama internazionale, da Kravitz agli INXS, dai Pulp agli Steely Dan“…(paura eh?!).
Ma non bisogna spaventarsi in merito, perchè gli Enjoy The Void sono un gruppo veramente ambizioso e bisogna dagliene merito. Come afferma la stessa mente del gruppo e frontman Sergio Bertolino infatti “la più grande ambizione degli Enjoy the Void è elaborare uno stile personale, originale, che può richiamare tante cose, senza però assomigliare a nulla“, insomma praticamente tutto quello che cerca di fare ogni band al mondo che si rispetti.
Ma come sappiamo bene a volte questo concetto di estrema originalità risulta essere un’arma a doppio taglio. Non è in assoluto il caso di questa band per carità , anche se in un certo senso quello che ho provato nei quaranta minuti di ascolto è stato qualcosa che definirei come “‘una continua sensazione di smarrimento tra bagliori di luce e intuizioni sicuramente azzeccate’, che probabilmente vuol dire tutto e niente.
Un songwriting alternativo, complesso e ricco di arrangiamenti ben curati per una band che, si sente, non vuole lasciare niente al caso e diciamolo, sa suonare come si deve. Tutto ha un senso, tutto è legato e ben saldo, dai testi ricchi di filosofia, ai singoli suoni. Si cerca di ricreare strutture e atmosfere che si adattino ai contenuti, di volta in volta, di brano in brano, e quindi la mistura è talmente varia che a volte lascia l’ascoltatore smarrito in un turbine di generi e contaminazioni. La cosa è sicuramente voluta e apprezzabile, ma a mio avviso tende alla lunga a penalizzare la band che avrebbe bisogno di una comunicazione più diretta con l’ascoltatore, di tanto in tanto travolto dal vulcano di idee “Enjoy the Void”.
Un debut che non mi colpisce al cuore ma che al tempo stesso definisco un lavoro da non sottovalutare, studiato e rettificato al millesimo. Un esordio discreto per una band che in realtà ha tutte le carte in tavola per fare qualcosa di veramente interessante. Aspettiamo il Sophomore!