Avevamo già “disturbato” Alain Marenghi, cantante degli Winter Dies In June, per farci raccontare i suoi 10 dischi da isola deserta. Lo rifacciamo, più che volentieri, per sentire qualcosa sul nuovo album della sua formazione che, come avrete visto dalla recensione, ci ha letteralmente conquistato. A voi…
Ciao ragazzi, come state? Da dove ci scrivete?
Ciao Riccardo. Stiamo bene dai. Siamo in piena preparazione del live ma in questo momento ti scrivo rilassato dalle montagne dell’appennino parmense.
Complimenti per questo nuovo album: in primis volevo sapere come avevate passato questi 4 anni che sono trascorsi rispetto al precedente “The Soft Century”.
Le abbiamo passate suonando, andando a tanti concerti di altri e facendo qualche trasloco. Alcuni si sono riprodotti, altri si sono sposati. Io mi sono iscritto a ‘Spotify Premium’ e ho scritto un pamphlet “Uomini e Yoga: dove arriva la voglia di figa“.
“Penelope, Sebastian” pare, a tutti gli effetti, un concept album, basato sulla storia di una coppia. Era già un’idea chiara nella vostra mente o il tutto si è sviluppato strada facendo? E’ giusta la parola “concept album”?
L’idea della storia d’amore ad episodi al contrario non è chiaramente nuova. Musicalmente mi viene in mente quel capolavoro sottovalutato di “Warmer Corners” dei Lucksmiths. Però il viaggio di ritorno sulle proprie tracce fino ad una casa, patria, uno “ieri” felice (chiamalo come vuoi) è un elemento narrativo molto comune, dall”Anabasi’ di Xenofonte, ai ‘Guerrieri della Notte’, a, appunto, l”Odissea’. Quindi sì, è un concept perchè ha un filo narrativo che cerca di tenere insieme i pezzi.
Synth e chitarre che potremmo tranquillamente definire shoegaze. Sono questi i nuovi elementi musicali che compongono il mosaico magnifico che è la vostra musica. Cosa vi ha portato a puntare maggiormente su queste soluzioni?
Mah avevamo voglia da tempo di provare come quei suoni potessero amplificare le melodie. Le chitarre e l’orchestra funzionano bene, ma se ti scappano di mano tendono ad essere troppo epiche, finendo per produrre un effetto contrario. I synth analogici invece riescono a produrre effetti che regalano emozioni senza produrre eccessiva enfasi. Mantengono il disincanto ecco.
Ancora una volta però è la melodia che emerge in ogni brano: un vostro, adorabile, chiodo fisso, se mi posso permettere. Eppure forse in questo album è tutto ancora più bello, perchè ci si sente sempre più legati al disco ascolto dopo ascolto, con i ritornelli che entrano in circolo non immediatamente. Che ne dite?
Sì hai colto perfettamente nel segno. Penso che le scelte melodiche che abbiamo fatto siano il frutto di un meccanismo compositivo diverso: in questo disco quasi mai chi ha scritto l’armonia ha poi confezionato la melodia. Questa divisione ha portato a costruzioni melodiche diverse dagli altri dischi. E poi i suoni”…loro hanno caratterizzato le melodie: sono stati il motore di tutti i brani. Quando hai davanti una sequenza armonica, le strade melodiche con cui leggerla sono veramente tante; se ti fai guidare ad un certo punto dal suono che quel brano sta emettendo, ecco che escono risultati sorprendenti: in un paio di pezzi anche io mi sono convinto e ho apprezzato quelle scelte melodiche solo dopo il mixaggio.
Certo che nel brano “Boy” pare proprio di stare sulle montagne russe: cambi di ritmo, arpeggi che acquistano vigore e poi il finale che pare di sentire gli Air! Pare proprio che in questa canzone, ma anche nel disco in generale le idee siano state davvero tante, ma non avete mai perso il filo…
Quando hai ben chiaro il racconto e i colori che deve avere, è difficile perdere il focus. Magari non è immediata la lettura ma chi se ne frega. Magari la gente non ha tempo di lasciar maturare l’ascolto: amen.
In questo disco ci sono soluzioni armoniche e melodiche molto ardite per i nostri standard, eppure è un disco molto più omogeneo del precedente: gli special e i ritornelli-che-non-ti-aspetti sono anche il frutto del racconto che si sgrana davanti: flashback, cambi di tempo verbale, cambi di voce narrante. Sono momenti che necessitano di uno stratagemma anche armonico e di momenti sonori diversi per essere sottolineati.
Forse in questo album restano presenti le vostre influenze in equilibrio tra America e UK, ma viene un po’ a mancare quella componente “battistiana” che c’era nel vostro sound. Sbaglio?
Questo proprio non saprei. La componente battistiana per me è sempre stata carsica nelle nostre composizioni. Penso che, ma è la mia opinione, abbia più a che fare con il rapporto tra le varie parti della canzone, sulla loro importanza e su come una entra dopo l’altra e esce per fare spazio alla successiva. O forse sono le aperture e le involuzioni le cose più battistiane che abbiamo.
Sono curioso di sentire come questi brani saranno dal vivo, prevedo un bel muro sonoro…
Abbiamo introdotto synth, batteria elettronica e alcuni gingilli. Stiamo cercando di capire come far funzionare il tutto”…ahahahah.
Mi chiedo sempre se, ogni tanto, vi sentite un po’ “sottovalutati”. No parlo di invidie per altri gruppi o artisti, solo notare con realismo che tutta questa vostra qualità a volte non raggiunge, immeritatamente, platee più ampie.
Guarda”…pensa che come Winter siamo tra i co-organizzatori di un festival tra i monti (Rock The Baita). Abbiamo a che fare ogni anno con tantissime band, andiamo a tutti i concerti che possiamo, sia di gente famosa che meno famosa. Non stiamo a guardarci l’ombelico e siamo molto contenti di quello che facciamo. Speriamo di suonare il più possibile e di fare conoscere questo disco. Poi chi ascolta decreterà se valiamo o no.
Ci sono delle canzoni o degli autori che in questo 2018 vi hanno particolarmente colpito?
Personalmente ho ascoltato molto i Nothing in questo ultimo periodo, mentre nelle macchine degli altri della band ho sentito Big Thief, Hovvdy, Soccer Mommy e Slowdive, Godspeed You B.E.
Grazie mille ragazzi, con quale canzone potremmo chiudere questa nostra chiacchierata e mi spiegate il motivo di una particolare scelta
Canzone nostra direi “Nowhere”. Perchè racconta il punto della storia dove l’altro vorrebbe ancora crederci ma non riesce più, semplicemente non ha più la forza per poterlo fare. L’amore è anche una questione di energia fisica. Canzone di altri direi “Getting Away” dei James, soprattutto quando dice “drinks like Richard Burton, dance like John Travolta” e “No Longer Making Time” degli Slowdive, la voce sussurata che dice “Cathy don’t wait too long” mentre monta la marea sonora.