Nuovo capitolo dell’avventura di Chip King e Lee Buford, in arte The Body, che da quasi vent’anni battono le strade del metal americano aggiungendo sempre nuovi elementi (dal noise al gospel) al loro suono fatto di rumore, intensità , disperazione e brutalità . Provocatori e disturbanti, si sono costruiti un’immagine da cattivi ragazzi, estrema quasi quanto la loro musica, ma grazie alla curiosità  per mondi molto diversi dal loro che li ha sempre contraddistinti si sono guadagnati il rispetto di tanti colleghi (con molti di loro hanno collaborato in passato e continuano ancora a farlo). “I Have Fought Against It, But I Can’t Any Longer” cita nel titolo Virginia Woolf, solo uno dei tanti riferimenti letterari presenti in un disco che King e Buford hanno creato con il contributo fondamentale di Seth Manchester e Keith Souza, i due produttori che gestiscono lo studio di registrazione Machines With Magnets.

Anche questa volta i The Body coinvolgono nel loro mondo oscuro e pericoloso ospiti di tutto rispetto. Tornano Chrissy Wolpert (Assembly of Light Choir) e Ben Eberle (Sandworm) a cui si aggiungono Michael Berdan (Uniform) e Kristin Hayter (Lingua Ignota). Il contrasto tra le voci femminili, a cui è affidata la parte più riflessiva e viscerale dell’album, e quelle maschili (più violente e rabbiose) è la chiave di “I Have Fought Against It, But I Can’t Any Longer” che porta quel contrasto ad estreme e notevoli conseguenze (ascoltare per credere “Nothing Stirs” dove Kristin Hayter si esprime al massimo del suo potenziale o “An Urn”). L’inizio però è quasi in sordina per un gruppo come i The Body, con i primi due brani che ingannano e trascinano l’ascoltatore come le sirene facevano con Ulisse, per poi lasciare che King e Buford colpiscano duro con la loro miscela assassina di sludge, doom e death metal.

Ritmi folli, rumorosi, marziali, distorti tipici dei The Body che martellano senza sosta fino a “Blessed, Alone” dove un violino e un pianoforte spuntano quasi dal nulla in un brano che si avvicina al metal sinfonico. Un attimo di calma prima di un finale aggressivo ma non troppo, con una rabbiosa “Sickly Heart Of Sand” (tra le voci c’è anche quella di Michael Berdan) che sfocia negli otto pensosi minuti di “Ten Times A Day, Every Day, A Stranger” (montati su un reading dello scrittore ceco Bohumil Hrabal). I The Body non sono mai stati nè mai saranno una band per tutti i gusti e per tutte le orecchie, è bene ribadirlo ancora una volta. In “I Have Fought Against It, But I Can’t Any Longer” non sono estremi come lo erano stati l’anno scorso in “A Home On Earth” nè osano come avevano provato a fare in “No One Deserves Happiness” ma realizzano comunque un disco di livello nel suo genere, che continua sulla strada tracciata tempo fa con “All the Waters of the Earth Turn to Blood” e “Christs, Redeemers”.