Circa un anno fa avevo lasciato Luca Swanz Andriolo alle prese con il suo primo disco solista, quel “Covers on my bed, stones in my pillow” che ci dava la netta percezione di trovarci di fronte ad un interprete di primo piano, capace di estrarre dalla propria tavolozza i colori adatti a donare nuova lucentezza al pregiato materiale altrui di cui era composto l’album in questione.
Se quello di misurarsi con brani appartenenti ad artisti come Dylan o Ian Curtis poteva rappresentare una sfida pericolosa per il musicista piemontese (per inciso, la sfida è stata ampiamente vinta), lo è altresì cercare di avvicinarsi a questi numi tutelari attraverso materiale autografo, e in questo il nostro non poteva non cercare di nuovo l’aiuto dei suoi partner in crimes, il violinista Andrea Bertola e il polistrumentista Scardanelli, ovvero i restanti Dead Cat in a Bag, con quali LSA ha in passato pubblicato ben due album.
A fare da trait d’union tra i due lavori c’è anche qui una cover, una versione country folk della celeberrima “Venus in furs” dei Velvet Underground, brano che si inserisce perfettamente nel mood dolente e funereo di queste nuove tredici tracce della band torinese.
Chi ha avuto la fortuna di vedere dal vivo i DCIAB sa quanto l’andamento di una loro performance sia simile al navigare durante la tempesta di un battello ebbro capitanato da un pirata folle, il quale decide di farsi legare all’albero maestro per guardare in faccia la morte e sfidare il pericolo, muovendosi in questa giostra di emozioni tra canzone d’autore francese, melodie mariachi, swamp blues, country, folk e murder ballads di Caviana memoria.
Quella proposta dai tre è musica pericolosa, che non ammette mezze misure, un’esperienza totalizzante che attrae e respinge allo stesso tempo l’ascoltatore, trasportandolo un mondo dominato dalla luce crepuscolare del tramonto, in cui l’unica chiarore possibile è quello rinfrancante della poesia.
“Sad dolls and furious flowers” è un disco che non può mancare nella collezione di dischi di chi ama sia le atmosfere fosche, romantiche e disperate di Nick Cave, Gun Club, Nikki Sudden e compagnia maledetta, che quelle di frontiera di Calexico, Howe Gelb e Willard Grant Conspiracy. Un piccolo capolavoro di musica virata al nero, che si affianca in un ipotetico podio tricolore ad altre due gemme del genere come “I knew Jeffrey Lee” dei Circo Fantasma e “The chosen one” dei Three blind mice, e che-purtroppo-sempre più raramente vediamo nascere entro i confini nazionali.