di Gèèp Coltrain

Il ricordo più nitido di questi quattro giorni di concerti? Il decumano, il fottutissimo decumano, infinito strazio bollente all’arrivo e interminabile al ritorno, dantesco corridoio, separante ingresso e area concerti, crocevia di anime all’inutile ricerca di una scusa per ottenere uno strappo dalle invidiatissime macchinine.
Intendiamoci, l’organizzazione tutto sommato non è male, ed anzi si respira finalmente anche dalle nostre parti aria da festival vero. Anche se probabilmente gli organizzatori si aspettavano qualche presenza in più nelle serate non-Pearl Jam, l’abbondanza di caramelle-patatine-fresbeedimarchedipreservativi-collanine-stand-ringhiconmonopattini colorano tutta l’area e creano un bel clima.
Ah bella anche l’idea dei token! Così nessuno si rende conto di quanto gli organizzatori siano “figli di buona donna” a vendere una birrina a 6 euro e un hamburger di cadavere a 9 euro. Chapeau!
Ma torniamo a noi.

DAY 1: PARKA? SERIO?

Forse Liam sale sul palco con Richard Ashcroft? Forse sale Richard con i Killers? Forse salgono solo i Killers? Forse sono arrivato tardi e quindi che cazzo ne so?
Sono ancora sul decumano a sciogliermi, Richard Ashcroft è andato da un pezzo, e già  riconosco le note di “Rock’n’Roll Star” e “Morning Glory”. Vista la temperatura (32,5 gradi), Liam pensa bene di indossare un bel parka giallo: la pezza al terzo brano ha già  raggiunto i capezzoli, a metà  concerto (la metà  fatta dei brani del suo disco solista, nei quali non crede già  più manco lui) ha raggiunto la schiena, lui prova ad asciugarsi la pancia (che classe) ma il sudore la fa da padrone. Non mancano le chicche per i fan degli Oasis, da “Listen Up” a “Whatever”, addirittura a “Bring It On Down”, e non mancano le altrettanto classiche minchiate (“there are many things that I would like to say to you, but I don’t speak Italian“”… fino al “salutatemi mio fratello e ricordategli che questo è il mio posto, lui deve stare di fianco!“).
A seguire, i Killers, che sono dei gran paraculi e tirano su un bello show, farcito di tutte le loro grandi hit (o almeno credo, dato che non me li sono più cagati dal secondo disco in poi”…). Nel frattempo ho già  speso il p.i.l. del Burkina Faso in token, ma tanto non so moltiplicare per 3 per capire quanto spendo effettivamente, quindi non mi preoccupo.

DAY 2: EDDIE VENTATO MUTO?

Avete davvero ancora voglia che vi parli degli Stereophonics o vi era bastata la recensione del Fabrique? Vi basti sapere che i signori sono navigati e la portano ampiamente a casa anche stavolta”…
Ma l’attesa è tutta per i Pearl Jam, per i quali è stata addirittura allestita UN’ALTRA area concerti con UN ALTRO palco (!), gli spettatori sono intorno ai 70.000, a occhio 7-8 volte più che nelle altre serate. Insomma: si preannuncia una gran rottura di cazzo per tornare a casa.
Ce la farà  Eddie Vedder? Avrà  ritrovato la voce? Il ‘piacereddivedderlo’ sul palco sgombera i dubbi dei fiumi di fan timorosi. L’hanno tirata un po’ per i capelli, sia chiaro: hanno fatto ogni assolo del loro repertorio, hanno scandagliato gli archivi per trovare un pezzo cantato da Stone Gossard, hanno rinunciato agli acuti praticamente in ogni pezzo, ed infine hanno ridotto la loro abituale scaletta-fiume a soli 19 pezzi. Come dicono a Seattle: “more toast than nothing, it’s better more toast“. Agrodolce.

DAY 3: RIDE BENE CHI RIDE ULTIMO (ndr leggi “raid”)

Dopo la calura del primo giorno e il freschino da felpina del venerdì, sabato la temperatura è praticamente perfetta, ed attraversare il decumano è quasi un piacere (non è vero: è sempre una merda).
Alle 18:30 col sole in faccia, sul palco dell’arena Expo (quello del primo giorno, per intenderci) salgono gli eroici Ride. Una mini scaletta impeccabile, con una “Vapour Trail” da brividoni e tanti pezzi dal disco della reunion. Vero picco del festival per la truppa degli anzianotti! E grande pensata dell’organizzazione: visto che gli Autan sono sequestrati all’ingresso, almeno hanno portato i Raid.
Seguono i Placebo, che non mi fanno un grande effetto, o forse mi fanno effetto ma è solo una convinzione mia.
“…e a chiudere arriva il buon Noel, con tutta la sua combriccola (la corista, l’altra corista, la tizia che suona le forbici, uno che sembra Gem degli Oasis ma ciccione, eccetera). Devo dire che i pezzi dell’ultimo disco dal vivo guadagnano qualche punto, e rispetto alla performance di Liam (oltre all’indubbio vantaggio del buio e della mise più azzeccata) anche i pezzi solisti, in parte, sono ben accolti dal pubblico. Certo l’arena viene giù soprattutto con i pezzi da (anni) novanta degli Oasis. Per carità , è sempre un’emozione sentire certi ritornelli”… ma fidatevi di uno che ha visto Noel Gallagher dal vivo quattrocento volte: ha suonato con mestiere e per il piacere di farlo, e non molto per il piacere di comunicare qualcosa a chi aveva di fronte.
Paul Kalkbrenner? Cosa cazzo è Paul Kalkbrenner?

DAY 4: GO WITH THE FLOW IN THE DECUMANO

E siamo giunti all’ultimo giorno di questo bel festivalino. Aprono i Wolf Alice: la tizia mi richiama qualcosa di Kim Gordon e questo basta a farmeli piacere.
Seguono gli Offspring, riesumati insieme alle loro hit. Se penso che vent’anni fa i loro fan storici li avevano ripudiati per colpa dei vari “Un dos tres quatro cinco cinco ses“”… probabilmente senza quei pezzi paraculi non sarebbero ancora in giro. Sono in tanti a saltare per le loro canzoncine, ed anche la voce del biondino, inizialmente faticante, con lo scorrere del set arriva ovunque debba arrivare.
L’ultimo atto è affidato ai Queens Of The Stone Age: Josh Homme sale sul palco già  bello carico e parte a razzo con “Go With The Flow”. Bei suoni (almeno questa la percezione dal pit, credo che dietro fosse peggio), bella scaletta e belle luci. L’ho visto molto più convinto rispetto ad altre volte, ottima performance e chiusura azzeccata per il festival.
A scanso di equivoci: c’è sempre da rifarsi il decumano, eh.