Prima giornata di Rock The Castle, non posso certo mancare vista la presenza dei miei idoli Carcass. Il mio tatuaggio sulla schiena la dice lunga su quanto adori la formazione guidata da Steer e Walker. Abitando a Verona conosco benissimo Villafranca e il suo castello: location sublime per una festival, poco da dire.
Tutto, dal punto di vista organizzativo e logistico fila alla meraviglia e di questo mi complemento con Vertigo, che ha predisposto una adeguato schieramento di bagni (in primis, che non è male) e poi posti dove mangiare e bere (Street Food decisamente curato, zero file per birra e acqua e prezzi umani, senza sti cazzo di token tra le palle!), ma ripeto la location e la deliziosa erbetta all’interno del castello fanno il resto: sdraiarsi tra un gruppo e l’altro (orari sempre rispettati tra l’altro!) è davvero un piacere.
Arrivo giusto giusto per i Napalm Death, perdendomi purtroppo gli storici Unleashed. C’è caldo, ma davanti al palco c’è una bellissima ombra. Il clima insomma è quello giusto e i Napalm sono in forma smagliante. Li ho visti un sacco di volte, ma è sempre un piacere. Oggi sono particolarmente in palla, con il buon Barney che si muove con la sua solita andatura sul palco ma sopratutto cerca di far arrivare il messaggio che c’è dietro alla musica dei Napalm Death ed è una gioia sentirlo chiacchierare e parlare anche di temi politici o sociali, la cosa non ci disturba affatto. Ironico ma anche terribilemnte serio quando serve. Barney ed Embury sono carichi a mille, i suoni sono potenti e perfetti, sia che si tratti di grind (i pezzi di “Scum” restano li, nella storia della musica) sia che si passi a qualcosa di più death (e nel repertorio del gruppo inglese c’è tutto, anche il death, sopratutto in un disco come “Harmony Corruption” sia che emerga il lato più punk deragliante. Che spettacolo.
Con la discografia degli At The Gates mi sono fermato tantissimo tempo fa, lo ammetto, ma ero molto curioso di vederli e devo dire che non hanno affatto deluso. La tradizione svedese in fatto di death che però si rinnova e trova un sound moderno e ricco di sfumature e varietà , che cercano di uscire dai soliti clichè. Ammetto che i pezzi nuovi (“To Drink From the Night Itself”, ultimo album è di maggio 2018) fanno anche una discreta figura, ma i classici di “Slaughter of the Soul” non si battono. Band che viaggia bene, pubblico che li osanna e applausi meritati.
Rischiava di essere un tracolo per i Killswitch Engage, che tra pesi massimi del death avrebbero potuto soffrire di disinteresse, ma l’impegno e la carica della formazione americana è stata tale che anche chi se ne stava tranquillamente a cena, comuqnue un’occhiata è venuta a darla e ha fatto bene. Jesse Leach con tanto di cresta bionda è stato in una serata di grazia, alternando le parti rabbiose a quelle melodiche senza mai un cedimento, mentre il buon Adam Dutkiewicz (canotta nera e pantaloni stelle e strisce, ahahahah) è la solita scheggia impazzita, soprattutto quando a un certo punto scompare dal palco e te lo ritrovi a correre come un matto tra la folla che lo insegue. Grande momento. Scaletta composta da super classici, un pezzo dietro l’altro, senza sosta e il metalcore imbastardito (perchè comunque con i KE c’è davvero un bel frullato di suoni) che fa bella mostra di sè anche in una giornata decisamente death. E’ sincero Jesse quando si dichiara molto emozionato a suonare in un festival al cospetto di queste band storiche, le sue preferite in ambito death. Si salta, si canta, si poga: ottima ora per i Killswitch Engage.
Ore 22.00 è tempo di Carcass (sono loro nella foto) e tutta la gente va sotto il palco per ammirare gli eroi di Liverpool. Non ci sarà la folla delle grandi occasioni, ma il colpo d’occhio è notevole. Con i suoni tarati alla meraviglia (idem per KE) è ancora più bello apprezzare la tecnica dei Carcass, che fanno parecchi medley, andando a ripescare anche brani dai primi due lavori (la sempre cara vecchia “Genital Grinder”, ad esempio). Francamente mi sarei aspettato qualcosa di più dal capolavoro “Necroticism”, mentre vengono privilegiati sia “Heartwork” (e comunque poco da dire, “Buried Dreams”, la title track e “No Love Lost” spaccano sempre il culo!) sia “Surgical Steel”). La voce da cagne rognoso di Walker si staglia nell’aria, e pure l’invito ad abbattere “il fottuto castello”. Tom Draper (nuovo chitarrista) e Steer si pasano gli assoli che spiccano in modo sublime. Tecnici e con l’occhio attento a sfornare cavalcate degne degli Iron: la scuola inglese è forte nei Carcass che sempre più sono una vera e propria macchina da guerra. I dottori del metal hanno operato anche stavolta nel migliore dei modi!
Dopo 1h e 30 minuti arriva la fine, del loro set e quindi anche di una prima giornata di Rock The Castle che non ha davvero avuto punti deboli!