di Massimo Piubelli
“Massimo, so che eri al live degli A Perfect Circle; ti andrebbe di scrivere una recensione sul concerto?”
Il risveglio dopo la serata di Villafranca (VR) suona più o meno così, con Riccardo Cavrioli che decide – bontà sua – di affidarmi il compito di raccontare uno dei migliori concerti che io abbia visto da molto tempo a questa parte, e lo dico sia da musicista che da appassionato e fan.
La serata si preannuncia ricca, con ben tre band di supporto, a cui spetta l’onore/onere di aprire le danze e scaldare il pubblico, già numeroso e in continuo aumento con il passare delle ore.
I primi a salire sul palco sono i Krashah, band veronese di alternative metal che, sapendo di giocare in casa, dà il massimo sul palco, con risultati apprezzabili. Il loro metal granitico, con riff ben curati e una buona presenza scenica, convince il pubblico che dimostra di apprezzare.
E’ poi la volta dei McKenzie, trio calabrese che propone un alt-rock cantato/urlato in italiano, debitore di Afterhours e affini, con qualche accenno di stoner e testi abbastanza interessanti, destinati però a perdersi tra le mura del castello scaligero a causa di un’amplificazione non ottimale. Il pubblico comunque applaude la loro proposta.
Terza band di supporto i Ros, female-vocal trio reduce da X-Factor, accolti con una certa perplessità dal pubblico del Rock The Castle. Propongono il loro repertorio con ammirevole caparbietà , ma la loro proposta di rock radiofonico, per quanto ben suonata, risulta purtroppo fuori contesto. Oltre a questo, temo che i tre ragazzi toscani dovranno vedersela per molto tempo con il fatto di aver raggiunto la notorietà grazie ad un talent.
Alle 21.00 i Ros scendono dal palco e la tensione comincia a diventare palpabile: manca poco all’ingresso sul palco degli APC, e gli ultimi preparativi dei tecnici vengono attentamente seguiti dal pubblico, ansioso di vedere la band sul palco.
Le luci blu della spettacolare scenografia e le leggere note di pianoforte di “Eat The Elephant” fanno da apripista alla voce di Maynard James Keenan, voce che si può tranquillamente definire una delle più belle del rock: pulita, suadente, brillante, rabbiosa, graffiata quando serve, sempre centrata sul pezzo. Il suo “partner in crime” (come viene definito da Keenan durante le presentazioni della band) Billy Howerdel entra a metà brano, chitarra a tracolla ed effetti a profusione, a suonare le parti che nella versione su disco sono appannaggio degli archi, rendendo il tutto più aggressivo rispetto all’originale.
Dopo “Disillusioned” che ci trasporta in un’atmosfera sognante, gli APC ci scuotono con “The Hollow”, ed inizia l’alternanza tra i nuovi brani (“So Long, And Thanks For All The Fish”, “Hourglass”, “TalkTalk”, “The Contrarian”, “The Doomed”, uno degli highlights della serata) ed il repertorio storico, (“Weak And Powerless”, “Vanishing”, “The Noose”, “The Outsider”, “The Package”, “Thomas”, una “3 Libras” irriconoscibile se non fosse per le liriche ““ ma non viene eseguita “Judith”, la grande assente della serata) e un paio di estratti dall’album di cover “eMotive” (“People Are People” e “Counting Bodies like Sheep To The Rhythm Of The War Drums”) in un’altalena senza sosta di colori e luci, sensazioni, vibrazioni, passato e presente a rincorrersi per le mura del Castello Scaligero, con la band in gran spolvero a padroneggiare sul palco e Keenan su una piattaforma rialzata al centro di tutto questo, illuminato solo da dietro, una sagoma beffarda che non si vede mai in viso, in modo da portare l’attenzione solamente sulla voce.
Una scelta scenografica curiosa ma maledettamente efficace, che il sottoscritto – in quanto frontman di una band – ha apprezzato senza riserve.
Il tempo scorre veloce, troppo veloce, e sulle note di “Feathers” la band si congeda, dandoci appuntamento a dicembre (due nuove date a Roma e Milano).