Quarto album per i Deafheaven, che tre anni dopo il grintoso “New Bermuda” tornano con una nuova line up e qualche ambizione in più. La formula della band americana è ormai rodata: un misto di shoegaze, post e alt rock con un pizzico di aggressività  a rendere il tutto più pericoloso. Considerare i Deafheaven una band metal (o addirittura black metal) è sempre stato un po’ eccessivo e loro stessi hanno più volte dichiarato di non appartenere nè voler appartenere a una scena specifica (per descriverli infatti è stato coniato il termine blackgaze).

Certo, impossibile non sentire l’influenza di certe atmosfere thrash o black metal nella voce di George Clarke, spinta spesso all’estremo verso il growl o lo scream, ma i Deafheaven sono decisamente cambiati dall’album d’esordio “Roads To Judah” in poi i allontanandosi progressivamente da quelle sonorità  (riprese solo in parte con “New Bermuda”) cercando rifugio in un romanticismo dai toni spesso letterari in cui i sentimenti sono vissuti in modo viscerale, senza mezzi termini (percorso che ha raggiunto il culmine con “Sunbather”).

Succede anche in “Ordinary Corrupt Human Love”, con quel titolo che cita il Graham Greene di “Fine di Una Storia” e il silenzio un po’ drammatico un po’ teatrale che apre “You Without End” prima che un pianoforte stranamente mansueto accompagni la voce dell’attrice Nadia Kury mentre legge alcune pagine di un racconto chiamato “Oakland Noir”. Ma qualcosa di diverso c’è, in questo quarto album. Gli assoli dei chitarristi Shiv Mehra e Kerry McCoy si allungano, le parti strumentali sono più curate e lasciano emergere l’anima più rock dei Deafheaven.

Il passato torna prepotente con le staffilate di “Honeycomb” e “Canary Yellow”, scelti non a caso come singoli, e in quelle ancor più brutali di “Glint”, nella tranquillità  apparente di “Near” ma è “Night People”, il duetto con Chelsea Wolfe, a regalare qualche brivido in più. Sembra un disco di transizione “Ordinary Corrupt Human Love”: ben composto, ben suonato, non intenso nè emotivamente coinvolgente come “Sunbather”, non aggressivo come “New Bermuda”. Potrebbe rappresentare il futuro dei Deafheaven, un futuro dove le radici metal sono più sfumate ma comunque presenti. George Clarke non ha nessuna intenzione di abbandonare prima o poi il suo growl / scream d’ordinanza questo è sicuro.

Credit Foto: Grywnn / CC BY-SA