Con l’avvento del nuovo secolo, decine e decine di band nascevano con l’ondata cd. “new rock revolution” ed andavano a sgomitare per prendersi la maggior luce possibile; tra i vari Strokes, Libertines, Jet e Hives, per citarne alcuni, c’erano anche gli australiani The Vines.
Forti della heavy rotation su MTV e affini con il singolo “Get Free”, pezzo schizofrenico ed incendiario, era possibile puntare anche su di loro come possibili nuove stelle del firmamento, opzione confermabile da altre loro bombe punk come “Outtathaway” e da un album, “Highly Evolved”, dalla furia grunge e garage rock che andava a braccetto con momenti pop-beatlesiani, apprezzato da pubblico e critica.
Poi, destino comune a molte altre realtà del periodo, ed a causa anche di qualche “problemino” (la sindrome di Asperger) per il cantante e paroliere Craig Nicholls, un lento ma cadenzato declino ha caratterizzato la carriera della band, fatto di un susseguirsi di album che “avrebbero dovuto” rimetterli sul binario giusto, ma che si sono fermati alle aspettative ed ai buoni auspici.
E questo nuovo, settimo lavoro in studio, va a collocarsi esattamente dove sopra, nonostante il singolo che gli dà il nome, (Alex Kid, ndr) “In Miracle Land” con la sua chitarra pysch pop anni ’60, sia uscito con ben due anni di anticipo come a creare anche un patinato hype nell’attesa: tra pezzi dal sapore college rock scolastico e senza furore (“Hate the Sound”, “Waitin” e “I Wanna Go Down”), brani più pacati che dovrebbero segnare la raggiunta – termine abusatissimo – maturità artistica, ma che invece presentano poco spessore e dei testi al limite della scontatezza (“Broken Heart”, “Emerald Ivy” e “Gone Wonder”), passando per momenti più melodici (“Annie Jane”), dai sentori brit pop (“Sky Gazer”) o dall’indole più hard rock (“Slide Away”), la sensazione finale, anche dopo più ascolti, è sempre la solita, e già sovra richiamata.
E la reazione più comprensibile trovandosi di fronte a questo album è quella di aprire il cassetto del dimenticatoio, metterci dentro “In Miracle Land”, chiudere il cassetto, ripensare ai primi duemila ed a quello che ognuno avrebbe scommesso “sarebbero potuti diventare”.