Secondo album per il trio di Brooklyn capeggiato dal frontman John Ross a seguito dell’ottimo esordio del 2017 (l’omonimo “Wild Pink”).
Nello stesso anno Ross ha pure trovato tempo ed ispirazione per pubblicare in proprio un “ambient solo album” (“Eerie Gaits”).
Nato in Florida e trasferitosi a Brooklyn dopo il college, John si mantiene scrivendo musica per spot pubblicitari e programmi televisivi.

La collaborazione con T.C. Brownell (basso) e Dan Keegan (batteria) portò il trio alla pubblicazione del primo album dove aleggiano le influenze di R.E.M. e Nirvana, band che John ha scoperto ed amato nella
sua adolescenza. In questo ultimo lavoro invece i suoni si ammorbidiscono, compaiono synth (nel primo album non si andava oltre il classico chitarra-basso-batteria). Il passaggio è piuttosto evidente tanto che i nostri, paragonati all’inizio della carriera a band come i Death Cab for Cutie (con sostanziali accostamenti alla corrente Emo, qui influenzata dal Grunge) ora vengono spesso associati ad artisti e
band sotto l’etichetta “Heartland rock“, un genere nato negli anni ’70 con Bruce Springsteen tra i più famosi protagonisti nel decennio successivo, un genere che trattava le tematiche della classe operaia (o
“working class”) come argomento principale dei testi che vengono accompagnati da un contorno musicale decisamente diretto e crudo, molto connesso alle radici del Rock Americano, quello che fa da colonna sonora ai lunghi viaggi in autostrade che attraversano aride terre e dove si raccontano storie di vita quotidiana, spesso legate agli affanni vissuti dalla gente comune.

In “Yolk in the Fur” il trentenne Ross ripercorre i solchi tracciati dagli altri suoi successivi idoli, da Tom Petty (quello di ” Into the Great Wide Open”) a Bruce Springsteen (quello di “Tunnel of Love”) passando per Jackson Browne.
L’album, prodotto in collaborazione con Justin Pizzoferrato è molto ben curato nei suoni mentre la voce di Ross, calma e tranquilla, sembra conversare piuttosto che cantare e preoccuparsi delle melodie.
Dall’open track “Burger Hill” (notevole la parte di chitarra che sorregge da sola l’intero pezzo) fino alla conclusiva “All Some Frenchman’s Joke” ci troviamo immersi in uno stile compositivo molto elegante, pezzi che cambiano di forma e ritmo sempre restando delicati anche quando i toni si alzano un pò. Le melodie sono spesso cucite al brano affidandosi a chitarre dal suono pulito e delicato ma pronte anche a moderate accelerazioni (come “Lake Erie”, molto pimpante, a mio giudizio il pezzo migliore dell’album).
“Jewels Drossed In The Runoff” e “There Is A Ledger” mi sembrano i brani più fiacchi della scaletta, melodia
sdolcinata, ruffiana e melliflua la prima e giuggiolona la seconda.
Molto coinvolgente invece “The Seance On St. Augustine St” con il suo lento e disarmonico attacco che acquista forma, ritmo e profondità  nell’evolversi del brano, forse il pezzo che collega ed unisce i primi due album della band.

Ross & Co ci consegnano un album elegante, dimostrandoci che il cambiamento di stile non smorza o affievolisce gli apprezzamenti ricevuti dopo il disco d’esordio. Un particolare accenno sarebbe da fare riguardo i testi. Sono piccole storie condite di frasi ascoltate immergendosi nella vita spicciola, non sono racconti semplici e diretti: ogni frase può e deve essere interpretata da ognuno di noi per quello che può far nascere dentro.
Alcuni brani potrebbero essere eccessivamente lunghi (oltre i cinque minuti) ma è il tempo esatto per l’evoluzione della canzone, che nasce, si sviluppa e sfuma. Molto particolare la nota prolungata di synth che spesso lega i brani, come se l’album si sviluppasse in senso orizzontale, quello che accade leggendo un libro, di capitolo in capitolo.

La voce di Ross potrebbe essere un punto debole: spesso in questo disco ho cercato lo scatto rabbioso, il desiderio di rivincita di chi cerca un riscatto. Dimentichiamoci quindi la brama di spaccare il mondo di Springsteen, l’ottimismo di Ross per un mondo capace ed in grado di migliorarsi grazie alle nuove generazioni lo induce a sussurrare, o meglio, ad accennare…