Potrebbe capitarti di ascoltare una filastrocca molto vecchia – gli inglesi ne hanno parecchie versioni – che piຠo meno recita così : “One for sorrow, Two for joy, Three for a girl, Four for a boy, Five for silver, Six for gold, Seven for a secret, Never to be told“.
Quindi se passeggiando in un bosco dovessi imbatterti in una gazza (magpie in inglese), magari appollaiata sul ramo di una vecchia quercia, comincia a preoccuparti: il dolore (one for the sorrow) è dietro l’angolo. Per scacciare questo triste presagio non ti resta che salutarla, basta un semplice “Buongiorno generale! Come sta sua moglie?” Anche un cenno con la mano è gradito e, se portiamo un cappello, è consigliabile toglierselo di testa per mostrarle il giusto rispetto.
Rich e Chris Robinson formarono una delle più famose Rock and Roll band degli ultimi 25 anni: i Black Crowes, i corvi neri. Loro sono di Marietta, nella Georgia, quella americana e della Coca Cola. Dopo vari successi e litigi i due fratelli hanno scelto strade separate: Chris che di mestiere fa il cantante si è buttato nella nuova esperienza Brotherhood, mentre Rich che nei Crowes era il chitarrista si lancia in una carriera solista per poi formare una nuova band con i vecchi bandmates Marc Ford (l’altro chitarrista) e Sven Pipien (basso). L’idea di Rich era di riunire i suoi vecchi amici e fare qualche concerto, presentandosi sul palco in una cover band di lusso. Infatti il loro omonimo esordio del 2017 contiene un solo inedito, il resto cover rivisitate, improvvisazioni che accantonano la psichedelia (pallino del fratello Chris) per il Southern Rock, terreno di battaglia ideale del nostro Rich.
La parte del frontman viene assegnata a John Hogg, un poliedrico musicista già leader della band inglese Moke, che nelle gazze s’impone come voce principale, dovendosi, per forza di cose, subirsi i paragoni con il ben più famoso Chris. La band si completa con Matt Slocum alle tastiere e Joe Magistro alla batteria.
Possiamo tranquillamente definire “High Water I” l’album d’esordio della band: tutti brani inediti nati dalla sempre incontenibile vena artistica di Rich (ha praticamente scritto tutta la discografia dei Black Crowes, che nelle loro brillante carriera hanno venduto più di trenta milioni di copie) con la collaborazione di Ford e Hogg. I tre si sono riuniti per una decina di giorni in un appartamento ed hanno composto materiale per quasi quaranta canzoni. Il lavoro di registrazione in studio avviene in maniera rapida, musicisti di questo calibro non hanno bisogno di troppo tempo: lasciano che sia l’istinto a guidarli e di solito la prima è sempre la migliore. Sin dalle prime note della open track “Mary the Gipsy” si intuisce che questo album ci regalerà ottima musica interpretata da artisti dotati di tecnica sopraffina ma che pure posseggono la sensibilità che si acquisisce solo con l’esperienza. Rich ha unito i vecchi compagni nel momento giusto: dopo le reciproche esperienze post Crowes hanno insieme trovato la giusta alchimia. Non è una rimpatriata pensata per organizzare qualche tour raccogliendo vecchi fan nostalgici sotto il palco, disposti a pagare un biglietto più che salato. Le parole di Hogg ci fanno comprendere meglio quello che è accaduto: “…Sto lavorando con i più grandi musicisti che abbia mai incontrato. La dinamica è potente e positiva. Sono stati lunghi viaggi che improvvisamente si sono uniti“.
In questo primo capitolo (nel 2019 è prevista l’uscita di “High Water II”) le dodici canzoni delle gazze potrebbero essere considerate un omaggio ai cugini corvi. Non ci allontaniamo mai da quelle sonorità che hanno contrassegnato la lunga e zeppa di successi carriera dei Black Crowes. Pezzi come la ballata country “Walk on Water” e la più classica “Hand in hand”, per inoltrarci in passaggi blues come “Take it all” o psichedelici come “High Water” ci coinvolgono nei più classici repertori delle band Southern Rock che dagli inizi degli anni ’70 riuscirono a fondere country, blues e boogie per creare quel suono caratteristico, con l’uso massiccio di chitarre e con quella pennellata di identità territoriale (il Sud degli Stati Uniti) che si nota anche nell’abbigliamento da cowboys che rende questo genere così unico e riconoscibile. “Sister Moon” scritta da Ford e Hogg è il brano che esce dallo standard musicale dell’album mentre “For the Wind” rappresenta il pezzo forte con il suo inizio acustico per poi esplodere in nei più classici canoni Rock, specialità della casa.
Vedremo se “High Water I” sarà il punto di partenza di una band alla ricerca di una nuova e propria identità o se questa band si accontenterà di brillare di luce riflessa. Le premesse e le basi sono più che solide. Per il momento ascoltiamoci questo album, che detto tra noi, non è affatto male…