“Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini non mostra il pestaggio di Stefano Cucchi ad opera delle forze dei carabinieri di Roma. Mostra quello che succede delle ore precedenti al pestaggio, fino al fatidico ingresso nella stanza degli interrogatori, e quello che succede nei giorni successivi, fino alla tragica morte di Stefano.
E’ proprio questa, per me, la scelta più interessante del film e la chiave di lettura più efficace per analizzarlo. Perchè in quella stanza, a parte Stefano e i suoi carnefici, non c’era nessuno. Ma cosa fosse successo era ed è chiaro a tutti: Stefano lo portava, ben evidente, “sulla sua pelle”. E’ su questo paradosso, sulla gente che chiede con insistenza a Stefano cosa sia successo come non lo sapesse e senza però muovere un dito, che “Sulla mia pelle” si evolve.
E’ dunque non solo il dolore fisico a tormentare quel che rimane di Stefano, ma anche la sensazione tremendamente veritiera che nessuno lo aiuterà . Che nessuno, magari mosso da compassione, andrà un centimetro oltre le proprie mansioni di pubblico ufficiale, medico, portantino o avvocato. Come se ciascuno della schiera che avrebbe dovuto garantire a Cucchi un trattamento equo e umano fosse invece, un po’ per omertà e un po’ per inettitudine, dalla parte dei suoi carnefici.
Più che le sue immagini, quello che di “Sulla mia pelle” colpisce come un pugno è difatti la profonda sfiducia che il film nutre nell’apparato statale. La cosa ne fa, ovviamente, un film profondamente schierato, praticamente un atto di militanza.
Ottimo il comparto tecnico, asciutto e minimale, anche se i modelli di riferimento in ciascun campo sono fin troppo chiari (“Hunger” su tutti).
Molto bravo, ma lo hanno già detto tutti, Borghi; qui una specie di Christian Bale de noantri.