Julien Baker è senza dubbio una delle più interessanti songwriter della nuova generazione indie-rock a stelle e strisce: con il suo secondo LP, “Turn Out The Lights”, uscito alla fine dello scorso anno via Matador Records, la musicista di Memphis ha saputo dimostrare tutto il suo valore, ottenendo numerosi consensi in giro per il mondo. Qualche settimana fa Julien è finalmente arrivata a suonare anche in Italia e noi di Indieforbunnies.com l’abbiamo intercettata qualche ora prima della sua unica data nel nostro paese al Circolo Ohibò di Milano per parlare della sua musica, delle sue influenze, della sua casa discografica e delle Boygenius, il suo nuovo progetto insieme a Phoebe Bridgers e Lucy Dacus. Ecco cosa ci ha raccontato:

Ciao Julien, benvenuta sulle pagine di Indieforbunnies.com e grazie per il tempo che ci stai dedicando. Quella di oggi è la prima volta che suoni qui in Italia?
Sì, è la prima volta che suono nel tuo paese. Non sono mai stata qui in passato.

Che cosa ti aspetti dal tuo concerto di stasera?
Non so cosa aspettarmi dal mio concerto di stasera, ma sono molto contenta. Mi piace quando non so cosa aspettarmi.

Per prima cosa volevo chiederti se per favore puoi fare una tua piccola presentazione per i nostri lettori.
Sì, certamente. Mi chiamo Julien Baker e sono una cantautrice di Memphis, Tennessee.

Quali sono stati i maggiori cambiamenti tra i tuoi due album? E cosa ci puoi dire di te stessa, sia come persona che come musicista? Quanto sei cresciuta durante questi due anni?
I miei due album sono certamente connessi tra di loro. Con “Sprained Ankle” credo di essere riuscita ad aprirmi su cose cupe e su argomenti molto tristi e depressivi perchè stavo veramente lottando molto con cose di questo genere. Una volta che sono riuscita a scrivere le canzoni, ho dovuto suonarle cinquanta o sessanta volte davanti alla gente. Ho pensato: “Perchè le ho scritte così? Perchè ho pensato così?”. Ho cercato di analizzarle. Quando stavo scrivendo “Turn Out The Lights”, a metà  di una canzone mi chiedevo cosa volesse significare e come avrei potuto far diventare il brano in modo da prevedere di influenzare qualcun altro nella mia vita. Diminuire il mio ego mi ha aiutato a essere più consapevole e più connessa con le persone nella mia vita e forse più empatica. Questo è stato importante anche per la mia performance musicale: nella mia musica l’empatia è molto importante.

Quindi hai avuto un diverso approccio sia al songwriting che nel salire sul palco?
Sì, assolutamente. Adesso penso molto spesso alle esperienze delle altre persone, come quelle degli ascoltatori. Quando scrivo una canzone ho un’emozione che devo fare uscire da me stessa. Questo è ciò per cui servono le canzoni. Una volta che le ho scritte, non riesco a fare a meno di pensare che cosa possano significare per chi le ascolta. Inoltre penso anche alla performance: sono così grata e consapevole di quanto io sia fortunata a essere una musicista e voglio che il mio pubblico abbia la migliore esperienza possibile, così, quando mi esibisco, penso se loro sono coinvolti o se sono collegati.

Sei consapevole che le persone che ascoltano la tua musica possono provare qualcosa?
Sì, assolutamente.

Grazie. Ti posso chiedere quali sono state le tue maggiori influenze, sia musicali che non musicali, nel tuo disco più recente?
Credo che Sufjan Stevens sia stata un’influenza molto importante, soprattutto il suo ultimo album “Carrie & Lowell”. E’ veramente un disco fantastico. Per quello che riguarda i testi ovviamente mi piacciono i Death Cab For Cutie e Pedro The Lion. Ovviamente ascoltavo anche qualche artista mio contemporaneo come Phoebe Bridgers e Lucy Dacus. Mi piace anche Aldous Harding e sono fan di Half Waif. Il modo in cui scrivono la loro poesia ha influenzato parecchio il mio songwriting.

Posso chiederti del tuo rapporto con la religione? Ti sei definita cristiana. E’ qualcosa di importante per te? E’ qualcosa che ha influenzato il tuo songwriting e anche la tua vita?
Sì, credo tutte e due le cose. Ha influenzato molto la mia vita e quindi questa è una cosa che si vede nel mio songwriting. Il modo con cui interagisco con la mia fede non riguarda necessariamente regole tradizionali specifiche. (La religione) ci insegna a essere più gentili nei confronti degli altri esseri umani ed essere più compassionevoli e avere più empatia. La fede mi influenza nel senso che mi aiuta a essere una persona più empatica e anche capace di cercare di mettere alla prova se stessa in modo da capire i sentimenti delle altre persone e connettersi con loro in qualche maniera. E questo esce anche in quello che vuole essere il mio ruolo di musicista.

Molto belle queste tue parole, Julien. Il tuo secondo disco è stato registrato in appena sei giorni: pensi che siano stati abbastanza? Forse la prossima volta ti prenderai un po’ più di tempo?
Credo che sia stato giusto registrare “Turn Out The Lights” in sei giorni, ma penso proprio che per il prossimo disco mi prenderò molto più tempo.

Quando sei entrata in studio era già  tutto pronto?
Sì, avevamo già  tutto pronto. Abbiamo passato un paio di giorni a mixarlo, ma la maggior parte era già  pronta.

Questo tuo secondo album è stato pubblicato dalla Matador Records, che è una delle indie-label più importanti al mondo: che cosa ne pensi di poter lavorare con un’etichetta così cool?
E’ stato fantastico. Mi ha aperto tantissime porte perchè loro mi hanno fornito risorse che non tutti possono avere. Inoltre a livello lavorativo sono molto bravi, non mettono sotto contratto solo artisti di un genere specifico, ma vogliono produrre musica con cui loro hanno una connessione.

Ho letto da qualche parte che l’ultima canzone del tuo nuovo album, “Even”, è solo un demo e non vi ha registrato sopra nulla: è vero?
Sì, è vero, non ho cambiato nulla.

Credi che sia stata la scelta giusta?
Credo che il demo, nonostante sia ruvido, fosse la versione più onesta. Credo che la musica, più che perfetta o costruita perfettamente, debba essere onesta. Questa canzone contiene le emozioni nel modo in cui volevo che fossero. Mi è piaciuta così.

Posso chiederti delle Boygenius, il tuo progetto insieme a Lucy Dacus e Phoebe Bridgers? Ci puoi raccontare come è nato?
Abbiamo un tour insieme e ci è venuta questa idea di esibirsi insieme. Mentre cercavamo di mettere insieme delle idee, abbiamo pensato di scrivere più canzoni possibili e realizzare un EP.

Come è stato il processo creativo?
E’ stato fantastico perchè abbiamo provato esperienze simili come giovani donne nell’industria (musicale). Tutte noi sapevamo come ottenere la credibilità  delle nostre idee. Abbiamo cercato di essere molto comunicative e rispettose e credo che abbiamo stabilito una dinamica che era molto bella. Mi sono sentita molto apprezzata e capita.

Ti posso chiedere se hai mai avuto dei problemi in quanto musicista donna?
Sì, credo che accada sempre, specialmente nei live-show. La crew maschile crede che io, la mia tour manager o la mia violinista non sappiamo come funzionino i nostri strumenti, quando questo è il nostro lavoro. Ho frequentato la scuola da ingegnere audio. Noi sappiamo di cosa stiamo parlando.

Un’ultima domanda: per favore puoi scegliere una delle tue canzoni, vecchia o nuova, da usare come soundtrack di questa intervista?
Che cosa ne dici di “Appointments”?

Perfetto. Grazie mille.
Grazie a te. Ci vediamo al concerto.

Photo Credit: Nolan Knight