Il caos è un flusso che ribolle continuamente e attentamente sceglie le anime giuste da colpire.
Ron Gallo è un benedetto toccato dal caos e dal flusso di energia frenetica che si va a insinuare in ogni sua canzone.
Anche nella sua ultima e più filosofica opera “Stardust Birthday Party”, il suo rock metafisico va oltre la semplice definizione di psichedelia.
Non c’è un’esasperata ricerca di alterazione della propria personalità nelle tracce ma una profonda ricerca basata sul proprio essere, questo possiamo ascoltarlo in canzoni come “The Password”, perfettamente immersa in un brodo così variegato e bilanciato da essere perfetto.
Nelle sue canzoni si vanno a creare delle vere cosmopoli di sensazioni e emozioni. Ci troviamo davanti dei veri schizzi di poesia multimediale, nell’album uno dei più intensi è sicuramente “Happy Deathday”.
In queste città immaginarie da lui costruite ci sono i Talking Heads, c’è David Bowie, ci sono le sfaccettature del rock anni “’70 e anche tutte le inflessioni psycho rock contemporanee.
Ron Gallo però si pone come un vero linguista davanti alla sua musica, il suo disco è un dizionario in cui noi possiamo imparare a costruire nuove parole.
Brani ruggenti come “Always Elsewhere” sono una perfetta sintesi di cosa vuol dire mescolare sapientemente periodi musicali, artisti e sound diversi tirando fuori un’identità nuova, intrecciata e mistica.
In alcuni pezzi si ha la sensazione di trovare Don Abbondio catapultato in un’opera di Calvino: intrecci forti e apparentemente senza senso salgono alla ribalta ascoltando il disco.
“It’s All Gonna be Ok” è un esempio di come un concetto o un sound può essere lì ribaltato, decostruito e messo in discussione dallo stesso artista, che con grande raffinatezza gioca a nascondino nel suo stesso mondo.
Per capire meglio cosa significa giocare a nascondino e intrecciare tutto questo materiale all’interno di un disco facciamo un piccolo esempio, se io dovessi scrivere in questa recensione: “La singolarità è quasi invariabilmente un indizio. Quanto più un crimine è banale e comune, tanto più è difficile risolverlo”, tutti a primo impatto possono capire che questa frase di Sir Arthur Conan Doyle è obiettivamente fuori contesto in una recensione del genere e probabilmente voi sentite pienamente l’alterità tra la recensione e il disco.
Ron Gallo invece, a differenza del recensore, ha il dono di far coincidere il fuori contesto con la sua improbabile e poetica visione artistica.
Qualcuno ha definito il genere dell’autore di Philadelphia come rock filosofico, io con licenza poetica mi permetto di spostare oltre la lancetta e portare Gallo nel regno della post filosofia.
Perchè alla fine un disco come questo ci fa capire che se la filosofia, il rock, le buone maniere, l’arte e l’eleganza sono morti (secondo alcuni grandi cultori del nulla) c’è già qualche profeta che reincarnandosi in un corpo minuto e elegante, ha permesso a dei bellissimi germogli di rinascere.
Se siete a caccia dei semi da piantare e coltivare nel vostro giardino stravagante, non li troverete nella favola dei fagioli magici, ma in “Stardust Birthday Party”.