Poco, davvero troppo poco.
Sarà che quando la firma è Richard Ashcroft, in assoluto uno dei portabandiera più importanti del pop-rock (britpop, se la chiave di lettura è ancora 90’s) di matrice albionica, le aspettative devono giocoforza essere adeguatamente proporzionate al calibro di tale nome.
Invece questo “Natural Rebel”, che potrà sì soddisfare i fan più ortodossi per quei pezzi fatti “chitarra in mano”, specie dopo le trame non del tutto convincenti del precedente “These People” di due anni orsono, finisce per assumere i tratti del parziale passaggio a vuoto.
Il sentore arriva subito con l’iniziale “All My Dreams”, che sarà della semplice linearità che può far gioco per i palinsesti radiofonici, ma con quel chorus in loop finisce quasi per narcotizzare; purtroppo, niente di meglio nemmeno dalle ballatone seguenti “Birds Fly”, la già diffusa “Surprised By The Joy” e la malinconica “That’s How Strong”: piatte? Banali? Approssimative? Sicuramente il mordente è poco, e lo confermano anche “Born to Be Strangers” nonostante chitarre che ci riportano direttamente agli anni ’70 o “That’s When I Feel It” con le sue orbite da classico pezzone di rock leggero.
Un valore aggiunto e un buon grado di profondità , semmai, lo danno gli accenti blues di “We All Bleed” e le note armoniche di “A Man in Motion” (forse il pezzo più riuscito di tutto l’album): peccato che la chiusura si avvicini e dove “Streets of Amsterdam” si fa notare solo per il falsetto di Ashcroft in una (una) sillaba del ritornello, “Money Money” emerge come unico tentativo di attaccare il jack dell’elettrica e il distorto e far vedere quel rebel che probabilmente, forse, magari, un po’ in tanti si sarebbero aspettati.
Tutto sommato, sì, “Natural Rebel” scorre e fila abbastanza liquido, gradevole e cadenzato: ma sempre a conti fatti, come detto, porta con sè poco. Davvero troppo poco.
Photo: Roger Woolman [CC BY 3.0], via Wikimedia Commons