Scrivere per necessità di comunicare con un mondo interiore fatto di contaminazioni, Sufjan Stevens e regioni inesplorate.
“Arto” di Setti è un territorio sottile, una striscia di confine che ha le bellezze e i misteri di una giungla, ma canzoni piene del calore di un deserto.
La rivoluzione contenuta in questo disco è dedicata a quelli che ogni mattina hanno il coraggio di mangiare pane e malinconia e poi scriverci su una canzone con una chitarra legnosa, dal suono profondo, a cui non si cambiano le corde da qualche anno, anzi probabilmente una di quelle è spezzata e non sarà mai riparata.
“Wisconsin” e “Iowa” sono due canzoni astratte e piene di richiami al folk più contemporaneo e piacevole. Le tendenze chiave del disco sono raccolte in un’estetica DIY e una penna da autore navigato, che riesce a centrare e inquadrare le canzoni come dei paesaggi.
Nel 1792 due astronomi incaricati da Napoleone hanno misurato la curvatura della Terra percorrendo un cammino che andava da Dunkerque a Barcellona: “Arto” cerca proprio tra le curvature apparentemente impossibili da cogliere, e traccia dei solchi.
Il disco è archeologico, nel senso che scava e si ripercuote su ogni storia personale che incontra.
Setti è l’esempio di un cantautore in 8 bit, senza sintetizzatori o effetti speciali: “Orizzonte” o “Mi Mancavi” sono l’esempio perfetto di quello che significa fare un lavoro analogico, artigiano e pieno d’amore.
Credo che ogni ascoltatore di musica si porti dentro uno o due dischi l’anno che agiscono da dizionario personale, una sorta di calendario astronomico misurato e collimato da ogni sentimento e desiderio.
Le canzoni in tracklist sono degli enjambement: c’è un rapporto strettissimo tra le sonorità del disco che giocano su uguaglianze e alterità , evocando luoghi domestici, profondi e necessari per aggiustare ogni angolo della nostra anima.
“Arto” è un disco da mettere in una cassetta degli attrezzi, perchè capace di aggiustare il cantautorato contemporaneo e portarlo nel regno del post-contemporaneo, un non luogo dove ogni emozione vissuta dell’umanità si trasforma in una rielaborazione unica e capace di essere, allo stesso tempo, attuale e sospesa nel tempo.