Che cosa triste, l’amore al tempo delle e-mail. è un vortice di speranze e delusioni che consuma l’anima alla velocità della fibra ottica; un sentimento sospeso nel vuoto, come un messaggio di WhatsApp arrivato a destinazione ma lasciato marcire nel limbo della doppia spunta grigia. Non è per fare la solita ramanzina inutile, ma credo sia innegabile il fatto che internet – e le nuove tecnologie più in generale – abbiano avuto effetti nefasti sulla qualità delle relazioni interpersonali. E, a quanto pare, non sono l’unico a pensarla così: tutte le ansie, le angosce e soprattutto la terribile paura del rifiuto che viviamo quando una persona che ci interessa non ricambia il like le ritroviamo oggi in questo secondo album a firma Antarctigo Vespucci, intitolato proprio “Love In The Time Of E-Mail” (ogni riferimento a Gabriel Garcàa Márquez è puramente casuale?).
Per l’occasione Chris Farren (ex Fake Problems) e il lanciatissimo Jeff Rosenstock (l’ex Bomb The Music Industry! all’inizio dell’anno in corso ha dato alle stampe un ottimo terzo lavoro solista, il politicizzatissimo manifesto antitrumpiano “POST-” che trovate recensito qui) hanno deciso di fare davvero le cose in grande. Se nei precedenti “Soulmate Stuff” e “Leavin’ La Vida Loca” era il lato più ruvido e “casalingo” del duo a emergere con particolare evidenza, in questi tredici brani Farren e Rosenstock preferiscono abbracciare un’idea di power pop leggermente diversa: matura, raffinata e molto meno lo-fi.
I punti di riferimento, tuttavia, non cambiano troppo rispetto al passato: l’approccio malinconico/depresso alla materia è lo stesso adottato una ventina di anni fa dai Weezer di “Pinkerton”, una sorta di libro sacro per gli Antarctigo Vespucci. “Love In The Time Of E-Mail” trabocca di quei bei riff suonati all’unisono da chitarra e tastiera, sgangherati ma incredibilmente melodici, che all’epoca purtroppo non fecero la fortuna del povero Rivers Cuomo: ascoltare l’attacco di “Kimmy”, il bridge strumentale di “Freakin’ U Out” o la coda finale di “All These Nights” per credere.
Il frequentissimo impiego di synth e organi nelle canzoni deve molto alla lezione imparata dai mitici Rentals di Matt Sharp ““ che, neanche a farlo apposta, dei Weezer fu il bassista giusto fino a “Pinkerton”. A tratti questo lato più elettronico degli Antarctigo Vespucci riesce addirittura a prendere il sopravvento: ne sono un buon esempio la “carsiana” “White Noise” (con tanto di battimani, proprio come nel classicone di Ric Ocasek e soci “My Best Friend’s Girl”) e la simil-new wave di “Breathless On DVD”. In quest’ultima traccia Chris Farren ricorda con amarezza – e forse un pizzico di nostalgia – l’inverno del 2009, trascorso in buona parte stravaccato sul divano a guardare il DVD di “Fino all’ultimo respiro” di Jean-Luc Godard.
Una passione intensa e turbolenta come quella dei due protagonisti del film, interpretati da Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg, per lui è un lontano miraggio: nell’era dei social e delle lettere d’amore spedite per posta elettronica c’è spazio solo per solitudine, disaffezione e tristezza (Am I unhappy because I’m not free/Or not free because I’m unhappy?). E per Facebook e Instagram non siam nient’altro che iconcine sepolte “sotto una pila crescente di fotografie” (dalla ballad “Lifelike”); neanche fossimo corpi digitali tumulati in quelle orribili liste di amici che ricordano in maniera inquietante i colombari dei cimiteri.