Tornano a farsi sentire anche i Giardini di Mirò, “Different Times” arriva dopo ben 4 anni da “Rapsodia Satanica” (sonorizzazione dell’omonimo film) e ben sei dall’ultimo album di canzoni, quel “Good Luck” uscito nel 2012.
Integralisti e inattaccabili continuano imperterriti il loro percorso inziato nel lontano 2001, quasi vent’anni di carriera senza mai scendere ad un compromesso. Sono indubbiamente una delle realtà più importanti degli anni zero e soprattutto, insieme agli Yuppie Flu, potevano essere quello che non sono stati, ovvero la possibilità di avere una proposta internazionale anche ‘made in Italy’, quindi, cantando in inglese, rincorrere un successo e un riscontro in Europa come dei Notwist di Reggio Emilia o dei Daft Punk di Bologna e così via. Ci siamo illusi per un periodo, ci siamo anche andati vicini, ma siamo tornati, poi, con i piedi per terra e il sogno è svanito. Sicuramente è un peccato, perchè c’era tutta la qualità del caso.
Detto questo ogni ritorno dei Giardini è sempre molto gradito. Purtroppo a questo giro, boh, il tutto non mi convince fino in fondo. Nulla da dire sui suoni, sono quella cosa là degli anni zero (con addirittura Giacomo Fiorenza in console, il deus ex machina di “Rise and Fall” il loro primo lavoro), sempre belli gli intrecci di chitarre (nella title track sono totale marchio di fabbrica gdm), ma nel complesso il disco non decolla, mi sembra una sorta di compitino sui canoni del genere. Fermo restando che parliamo di una band di statura, una band importante, i loro primi tre dischi sono tutt’ora oggi delle piccole pietre miliari con quel “Dividing opinions” punta dell’iceberg della loro discografia. Quindi ci si aspetta sempre molto ed è inevitabile fare dei confronti con il passato.
Ripeto trattasi non di un disco brutto, ci mancherebbe, ma sono sicuro che se non ci fosse scritto GDM, ma ‘pink pallin’ non verrebbe cagato più di tanto, ecco.
Bello in particolare l’episodio che vede il feat. di Robin Proper Sheppard, mr. Sophia ci mette del suo. Tutto l’album è un classico post – rock / shoegaze anche piuttosto vario nei suoi otto episodi, penso a “Don’t lie” insieme alla novella compagna di etichetta Any Other, quasi un folk made in Usa alla Yo La Tengo, però, ripeto, mi sembra un disco da pilota automatico. Chissà , forse, come un diesel, (e me lo auguro), decollerà nei prossimi ascolti, può essere perchè, nonostante abbia un imprinting pop, non è un disco così immediato, quindi vedremo; comunque sia è il lavoro che li porterà di nuovo in tour e li non ci sono cazzi, in ogni caso, sempre: bentornati.