Patrick Duff, eclettico frontman dei mai compianti abbastanza Strangelove, torna con un lavoro molto interessante, dopo ben 5 anni dal precedente “Visions Of The Underworld”.
Con questo nuovo “Leaving My Father’s House”, il suo quarto solista, Patrick torna a sonorità più articolate con una band vera e propria al suo seguito, tra l’altro assieme al suo compagno di avventure Alex Lee, (Strangelove, Suede, Placebo), consegnando alle stampe, a mio parere, il suo disco più completo ed eterogeneo sia come composizione che come produzione.
Le atmosfere sono sempre delicate e rarefatte, spesso acustiche, a tratti con un sapore retrò a cavallo tra ’60 e ’70 che danno alle canzoni una piacevole spruzzata di sana psichedelia. Oltre a nomi inglesi (Bowie, Barrett, Beatles) io ci sento ispirazioni da Lou Reed, Tim Buckley e, in generale, dal cantautorato americano alternativo di quel periodo.
Il disco scorre via veloce. Il trittico iniziale, fresco ed immediato, di “Yesterday’s Man”, “Brian Jones” e “Saint Marie” ci da subito il polso della situazione, senza però svelare troppo di ciò che ci attende. Le ballate vere e proprie sono solo due “Little Rose” e “Maria”, mentre invece i pezzi più trasognati ed eterei li troviamo in “Land Of The Midnight Sun”, “Kate’s Magic Spell” e “Leaving My Father’s House”. “Fun”, “For All I Know” e “Black Mondays”, non avrebbero sfigurato tra i pezzi degli Strangelove, in una versione dal taglio ovviamente più acustico e scarno.
Ascoltate questo nuovo album di Patrick, lasciatevi ammaliare dalla sua voce, cercate di entrare nelle sue poesie: è un buon modo per sciacquarsi le orecchie da da tutto quell’indie ormai mainstream, talmente impegnato nella ricerca di nuove sonorità che, troppo spesso, si dimentica come scrivere buone canzoni.