Yoko Ono è stata per decenni vittima di una vergognosa campagna di odio che l’ha trasformata, agli occhi di un’opinione pubblica tradizionalmente miope, in una persona meschina, avida e priva di qualsiasi tipo di talento, diretta responsabile dell’insanabile rottura tra i componenti del quartetto più celebre nella storia del rock. Una vera e propria strega, come si è definita lei stessa in più di qualche occasione. In realtà , “la donna che uccise i Beatles” è stata e continua a essere, ancora oggi che si avvia a spegnere le ottantasei candeline sulla torta, un’artista a tutto tondo incredibilmente creativa e prolifica.
Le mostre e gli album tributo a lei dedicati sono la dimostrazione del fatto che, almeno in epoca recente, il suo impegno nel promuovere gli ideali della pace e del femminismo attraverso installazioni multimediali e musica non è stato vano. Per chi volesse avvicinarsi cautamente all’opera di questo vulcano di immaginazione, “Warzone” rappresenta un trampolino di lancio ideale ma dalla qualità decisamente altalenante. Al suo interno vi sono tredici riletture di brani scritti e registrati tra il 1970 e il 2009, selezionati in modo tale da avere un piccolo assaggio di un po’ tutte le fasi artistiche attraversate dalla signora Ono nella sua quarantennale carriera.
Non mancano i primi passi nell’universo avant-garde di “Plastic Ono Band” (“Why”), la fortunata svolta rock di “Approximately Infinite Universe” e “Feeling The Space” (“Now Or Never”, “Woman Power”) e la sgangherata parentesi new wave/synth pop di “Starpeace” (“Hell In Paradise”, “I Love All Of Me”, “Children Power”, “I Love You Earth”). Il tutto viene riproposto in versioni minimali e ridotte all’osso, con il pianoforte e la fragilissima voce di Yoko Ono sempre in evidenza.
Le urla e i versi indecifrabili che l’hanno resa celebre sono ancora al loro posto ma, come era facile aspettarsi, si sono fatti molto meno potenti rispetto al passato; a risentire dei segni dell’età è soprattutto la title track, che nella sua forma originale (la trovate in “Rising” del 1995) era una splendida sfuriata hardcore di neanche due minuti di lunghezza. Qui purtroppo è una mezza lagna lugubre e noiosa, contornata di rumori di mitragliatrici, barriti di elefanti e schiamazzi di cornacchie.
Interessante infine la cover spoglia, delicatissima e volutamente imperfetta di “Imagine”, la canzone-simbolo del John Lennon solista co-firmata dalla stessa Ono: un omaggio commovente (anche se un po’ scontato) a quell’anima gemella mai dimenticata che, se fosse ancora tra noi, farebbe i salti di gioia nel vedere finalmente riconosciuto il valore e il talento di sua moglie.