Erano un bel po’ di anni che Jack Tatum e la sua creatura Wild Nothing non venivano a suonare nella capitale. Ricordo la data del tour di “Nocturne”: era, se non sbaglio, il 2012. La band si presentò sul palco fresca e precisa, con un suono scintillante e un’attitudine asciutta, senza fronzoli.
Grazie all’esperienza maturata nel tempo, la performance si staglia nella dolce notte romana con una grazia e insieme uno strano magnetismo “introverso” ancora maggiori. Sarà un concerto palpitante, sinuoso, ricco di suggestioni tardo-estive e vibrazioni retrò, eppure modernissime. Immagineremo colori pastello sgorganti dalle corde ma anche squarci di penombre riflessive. Di fatto, lo scambio tra la compagine capitanata dal rosso Tatum e il pubblico è quasi inesistente, ma il calore è tutto nell’aria. Poche parole, ma un saliscendi di emozioni tascabili che potevano essere sfiorate. Alcuni fan zelanti invocano brani per tutto il concerto, mentre un indescrivibile, bislacco senso di buonumore permea l’interoclub, quasi tutto pieno. La scaletta privilegia ovviamente l’ultimo lavoro “Indigo”, ennesimo gioiellino che certifica ulteriormente lo status di nobilissimo artigiano indie-pop per il buon Jack.
Wild Nothing irrompe con tutta la sua forza e la sua ingenuità dreamy puntando però dapprima sulle palpitazioni svagate di “Nocturne”, per poi lasciare scorrere le delicate pennellate della più recente “Wheel of Misfortune”. Dal precente “Life on Pause” viene rifatta solamente la sensuale “Whenever I”, che grazie alle sue atmosfere avvolgenti riesce ad essere superiore alla versione in studio ed a non sfigurare rispetto ad una serie di brani tutti incantevoli. Le palpitazioni di un tempo rivivono in due versioni pressochè perfette delle gemme di un tempo “Live in Dreams” e soprattutto “Chinatown”, brano, quest’ultimo, che inaugura il trittico dell’encore completato da una spumeggiante “A Dancing Shell” e dalla carezzevole chiusura costituita da “Shadow”, estratta da “Nocturne”. Non si possono poi non definire più che riuscite le rendizioni dal vivo delle nuove “Partners in Motion”, “Canyon on Fire” e “Letting Go”.
La visione della musica di Wild Nothing è una visione composta, rotonda, che ricerca una forma perfetta, cesellandone i piccoli dettagli che ne compongono la matrice, più che indulgere in azzardi e stravolgimenti. Sono suoni che oggi probabilmente non ricevono più il clamore di un tempo, ma il tepore sprigionato rimane sempre riconoscibile e più che godibile.
PS: interessante l’apertura degli italianissimi (ma cantano in inglese) Malihini, il cui album d’esordio “Hopefully, Again”, è uscito proprio il giorno del concerto.
Cantato alternato maschile e femminile, atmosfere suadenti tra tensione da camera da letto e relax da oasi suburbana: ne sentiremo parlare.