Album numero sei per Tim Showalter che avevamo lasciato alle prese con la vita spericolata di “Hard Love” due anni fa e ritroviamo a inizio primavera, reduce da un periodo non semplice. Mesi di live e viaggi hanno lasciato il segno e Tim ha iniziato a vedere il lato oscuro del successo, a pagare il prezzo della vida loca on the road. Stanco e disilluso è arrivato persino a credere che non avrebbe più scritto canzoni. Ci hanno pensato quattro membri dei My Morning Jacket (band con cui Strand Of Oaks è andato in tour in passato) a risolvere la situazione.
Carl Broemel, Bo Koster, Patrick Hallahan e Tom Blankenship hanno trascinato Tim in studio (il La La Land di Louisville, Kentucky) accompagnandolo durante le registrazioni di “Eraserland”. Prodotto da Kevin Ratterman e con un ospite d’eccezione come Jason Isbell è l’ennesima rinascita di un artista che non ha mai nascosto i propri demoni, i dubbi, le paure, i momenti bui e lo sforzo fatto per uscirne.
Il sesto album è più omogeneo rispetto ai precedenti e il contributo dei quattro My Morning Jacket è fondamentale. Non si tratta di un semplice side project per loro sia ben chiaro: l’impegno e la voglia che mettono in ogni nota rivela quanto tenessero a vedere pubblicati questi brani. Non è neppure un album dei My Morning Jacket con un cantante diverso, anche se la distortissima “Moon Landing” e “Hyperspace Blues” devono molto ai dischi della band di Jim James ma anche ai Dinosaur Jr e ai The War on Drugs.
E’ ancora una volta la voce di Showalter a farla da padrone. Nuda e senza effetti nell’acustica “Wild and Willing” e in “Keys” (dedicata alla moglie Sue) dolente nei nove splendidi minuti di “Forever Chords”. La collaborazione con i My Morning Jacket ha tirato fuori l’anima più rock e teatrale di Strand Of Oaks, c’è una tensione crescente che si percepisce tra le note del singolo “Weird Ways”, nel drammatico trip di “Visions” e in una “Eraserland” che si adagia su un tappeto di sintetizzatori spettrali, la batteria suonata da Hallahan che tiene il ritmo e la chitarra di Broemel che si prende il suo spazio senza disturbare.
Il lato più giocoso e pop di Showalter emerge in “Final Fires” e nel ritornello killer di “Ruby” ma non è certo in primo piano, sostituito dai pericolosi giochi di emozioni creati da un musicista rinvigorito che conferma di essere un cacciatore di note di prima qualità , soprattutto in quei brani dove riesce ad esprimere appieno la propria personalità (“Visions”, “Forever Chords”, “Wild and Willing”, “Keys”).