Nell’accostarmi a un nuovo disco di Stefano “Cisco” Bellotti, ho sempre un po’ di curiosità , se non proprio trepidazione, perchè si tratta di uno di quei personaggi della musica italiana che hanno contrassegnato la mia crescita musicale da vicino, quando io, ventenne o poco meno, macinavo km per andarlo ad ascoltare alla guida dei Modena City Ramblers, suggestionato da quei testi intessuti nel sociale e rapito dalle musiche irlandesi. Beata gioventù!
Tantissima acqua è passata sotto i ponti e Cisco ormai da quasi 15 anni ha lasciato l’ovile per mettersi a camminare con le proprie gambe. Un percorso solido, maturo, che pian piano si è smarcato dagli ex sodali per tentare nuove strade, più vicine all’immaginario dei cantautori, quelli classici.
Non ha più nulla da dimostrare, se vogliamo, forte di un pubblico fedele e di una credibilità ormai acquisita anche nelle nuove vesti da solista. Eppure, mai come con questo nuovo progetto, era possibile avvertire con mano tutto l’entusiasmo che sorreggeva il suo autore e la nuova linfa creativa che lo alimentava.
Per mettere a punto “Indiani & Cowboy” il Nostro ha preso armi e bagagli e se ne è volato negli USA, respirando a pieni polmoni l’aria di quelle parti. In Texas ha potuto lavorare al disco con Rick Del Castillo che abbiamo imparato ad apprezzare per i suoi importanti contributi alle colonne sonore del regista Robert Rodriguez.
Aveva tante cose dentro Cisco: la rabbia e la costernazione per certe derive che anche il nostro Paese sembra aver intrapreso, dove non si alzano muri (come negli Stati Uniti) ma si chiudono porti. E’ riuscito però a rimanere lontanissimo da ogni retorica, puntando (al solito) più sul sarcasmo e l’ironia, specie per fotografare certi usi e costumi del nostro tempo.
E’ un disco però che per una volta si fa decisamente più apprezzare dal punto di vista musicale che non da quello narrativo.
Non che le buone intenzioni a livello tematico non siano ben concretizzate (esempi fulgidi ne sono la caustica “Siete tristi”, “Non in mio nome” o la quasi omonima “Cowboy e indiani”) ma a colpire è più l’apparato musicale, dove il connubio tra Cisco e Del Castillo si è rivelato vincente, sin dalla traccia d’apertura, che accompagna con un inconsueto e deviato rock un testo che a mo’ di mantra ammonisce che”… “Adda venì baffone”.
La canzone fa da trait d’union con uno spettacolo teatrale- musicale così intitolato, concepito e portato in scena con Carlo Albè.
Immagino che l’autore si sia divertito anche nell’eseguire la brillante e incalzante “Lo sceriffo”, metaforica ma tutto fuorchè criptica, dai suoni rock”‘n’roll. Atmosfere western affiorano invece nella già citata “Non in mio nome” o in una “Guido Rossa” che si riallaccia invece in maniera esplicita all’Italia e a una delle sue pagine più nere e controverse, puntando le luci su un noto tragico episodio legato alle BR.
Più a fuoco e sentito appare l’altro ritratto della raccolta: “Don Gallo”, un’accorata dedica a un prete sempre in prima linea e che nel disco segna il primo episodio lento, cui seguiranno in chiusura le acustiche “Porto con me” e “Bianca” (quest’ultima, unica in dialetto modenese, a mantenere un legame con la propria Terra e le sue radici folk).
Il brano in cui il mix tra ricerca sonora e testuale è meglio riuscito è sicuramente “L’erba cattiva”, accattivante e spigliata.
Cisco ha assecondato la sua sete di musica, cercando un linguaggio meno poetico e più diretto, a mio avviso più consono alla tipologia del disco.
Il risultato è un interessante affresco del nostro tempo e la dimostrazione che a 50 anni non è ancora tempo di sedersi sugli allori, continuando a rifare sè stessi.
Bellotti ha mostrato quella freschezza compositiva che era venuta un po’ meno col precedente “Matrimoni e funerali” e ha ritrovato ispirazione e nuove idee che ci fanno andare indietro con la memoria ai tempi del riuscitissimo “Il mulo”, il suo secondo album uscito nel 2008.