La noia come ragion d’essere. La noia come atto costitutivo della più alta forma di creatività .
Mac DeMarco in “Here Comes the Cowboy” ci spiazza con un disco che evoca un bosco di notte, dove anche il più affamato degli animali, pur vedendo la sua preda già piena di sangue, non ha voglia di attaccarla perchè sotto sotto non gli sbatte un beato niente di tutto ciò che accade nel suo variopinto ecosistema.
Le chitarre appoggiate alle distorsioni, a metà tra lo psichedelico e il defunto, sono il segno di coraggio e scazzo creativo, che ha sempre contraddistinto in bene DeMarco.
“Here Comes the Cowboy” è disco notturno e nottambulo che restituisce al buio la profonda inquietudine del nulla. Non ci sono eccessi o ebrezze, ma semplicemente il puro non saper che fare a causa di un’insonnia o di un tour troppo lungo. Pezzi come “Nobody” o “Hey Cowgirl ” sono come quel flà¢neur, che vaga tra le strade di Parigi: hanno un’estetica che è caratterizzata da frasi come “On the square/Live a life that isn’t there/Square it up/Call me once you’ve had enough“. Un elogio del tempo perso e del tempo ritrovato che si trasforma anche in una frenetica caccia all’essenzialità : l’idea di suonare tutti gli strumenti del disco, ad eccezione degli intermezzi di tastiera, suonati da Alec Meen, amico e collaboratore di Mac, è esattamente collocata in una dimensione famigliare e di ricerca profonda di pace.
La scelta di lavorare per sottrazione è funzionale alla composizione di brani adeguati alla causa, che forse non rimarranno indelebili, ma a modo loro importanti.
L’immaginario del cowboy è usato come uno stereotipo su cui costruire un’innovazione e un nuovo significato della parola stessa. Niente conquista del West, niente Sergio Leone o Quentin Tarantino, ma una stasi, che forse è più identificabile con le praterie del Wyoming, ma in fondo chi cazzo c’è mai stato in Wyoming per poter descriverne le steppe. “Choo Choo” è la versione ironica e con un pathos cazzeggiante di “The Great Train Robbery” (cortometraggio risalente all’archeologia cinematografica), il pezzo era stato suonato anche nel set del Coachella e si era da subito mostrato come un lenzuolo lindo e essenziale sulla quale giocare e improvvisare senza ritegno.
DeMarco e il suo disco dobbiamo prenderli come un’educazione temporale, che ci portano a distinguere e concepire il tempo in un modo diverso. “Here Comes the Cowboy” più che un racconto della figura del cowboy, è un’ode a quello che Walt Whitman identifica come “il domatore di buoi”, ovvero è una figura amichevole, pacifica e allo stesso tempo contradditoria, ma che rimane a contatto con l’essenzialità .
Possiamo prendere in prestito queste parole di “Foglie D’Erba” per concludere il percorso che porta a definire “Here Comes the Cowboy” come un disco di passaggio, non eccezionale, ma a suo modo importante per trasmettere qualcosa in più.
“Confesso che invidio solo il suo fascino, il fascino del mio amico taciturno, analfabeta, che cento buoi amano nella sua vita di fattoria, nella lontana provincia del Nord, nella placida regione pastorale“. (Walt Whitman – “Il Domatore di Buoi”)
Mac DeMarco si muove lì, a cavallo tra l’insondabile e la “placida regione pastorale”: “Here Comes The Cowboy” è un disco che deve portarci ad un “ruminare” fisico e intellettuale.
Credit Foto: Christine Lai