Album numero tredici per i Whitesnake, che tornano a proporre musica originale a distanza di otto anni abbondanti dal precedente “Forevermore”. La strada verso “Flesh & Blood” è stata lunga e accidentata: oltre alla parentesi autocelebrativa di “The Purple Album”, con cui David Coverdale si è tolto lo sfizio di rendere omaggio a sè stesso e ai “suoi” Deep Purple (Mark III e Mark IV), vi sono stati cambi di line up, problemi di salute, ginocchia sostituite con protesi di titanio e, tanto per non farsi mancare nulla, indiscrezioni su pause e scioglimenti.

Non una novità  per la band del crinito frontman britannico, che da circa tre decenni fa e disfa a suo piacimento una creatura che, nel suo periodo di massima forma, ha regalato soddisfazioni a non finire ai fan: “Saints & Sinners”, “Slide It In” e il fortunatissimo omonimo del 1987 sono dei classici immortali del miglior hard rock di stampo ottantiano.

Volendo cercare dei modelli di riferimento per i brani contenuti in questa nuova uscita, li si potrebbe individuare proprio negli ultimi due dischi della piccola lista che vi ho poc’anzi rifilato. I Whitesnake ne recuperano le atmosfere, ormai dal retrogusto decisamente vintage, e ci passano sopra una mano di vernice fresca.

E per mano di vernice fresca intendo dire un missaggio che, a mo’ di compromesso tra sonorità  moderne e sbiaditi sbrilluccichii glam, seppellisce il basso, le tastiere e soprattutto la voce di Coverdale ““ che, vicino alla settantina, di certo non ruggisce più come una volta ““ sotto tonnellate di alte frequenze. A beneficiarne, naturalmente, sono quasi esclusivamente le chitarre: affilate, taglienti e (inutilmente?) potenti.

Sentite i loro assalti in “Hey You (You Make Me Rock)”, nella hit che non sarà  mai hit “Shut Up & Kiss Me” e nella “kashmiriana” “Sands Of Time”: un piacere per le orecchie. Il dubbio che alcune scelte un po’ infelici in fase di produzione abbiano abbassato il livello di un album che, ci tengo a precisarlo, non è comunque affatto male, resta tuttavia dalla prima all’ultima traccia: manca la dinamica, la profondità , il calore del blues foderato di metallo che è sempre stata una caratteristica del progetto del leggendario David Coverdale.

Quello che resta ““ e, in fin dei conti, non è neanche tanto poco ““ è una gradevolissima raccolta di hard rock dalle fortissime tinte pop, farcito di ritornelli a presa rapida e riff di grande impatto. I Whitesnake come li vogliamo, in parole povere.