di Enrico Sciarrone
Ai Cure va riconosciuta una coerenza e un onesta’ intellettuale che la critica e il pubblico hanno sempre notato e apprezzato. Venuta meno da oltre un decennio quella vena creativa e ispiratrice che l’ha portata a disegnare capolavori assoluti e immortali nella storia del rock, la band si è opportunamente focalizzata nel tempo verso quel tipo di attività a lei già congeniale, divenendo sempre di più live band al 100 %, senza apparire patetici o anacronistici, piuttosto con un alto grado di professionalità e soprattutto di straordinario spessore musicale.
Assistere oggi ad un live dei Cure come quello sfoderato domenica sera alla Visarno Arena a conclusione del Firenze Rocks 2019 significa trovarsi di fronte ad un autentica macchina da guerra, che avanza e procede senza inciampi, sbavature o cadute di tono, che sfodera uno show impeccabile e curato nei suoi minimi dettagli. Il tutto incentrato attorno alla figura carismatica del suo leader e creatore Robert Smith, per il quale il tempo che passa sembra, incredibilmente, donare sempre di più forza e consapevolezza nel proprio straordinario talento vocale e musicale e, forse, addirittura anche un pizzico di sana sfacciataggine a dispetto della sua proverbiale timidezza o poca loquacità , che lo hanno portato spesso domenica sera a ridere di gusto con il pubblico con qualche battuta.
I Cure sono stati padroni del palco, non si sono risparmiati spaziando , senza pause, per oltre due ore nel loro vasto repertorio sciorinando una scaletta a forti tinte pop appositamente prefigurata per i festival europei. Quindi niente celebrazioni del trentennale dell’album “Disintegration”, niente divagazioni su brani mai eseguiti prima o anticipazioni dell’annunciato album in uscita a fine anno. Unica nota negativa va detto. Per il resto, musicalmente, nulla da eccepire. Prestazione sontuosa dove trovare il passo falso o il punto debole è stato oggettivamente impossibile.
A “Shake dog shake ” e “One Hundred Years” brani complessi e controversi il compito di aprire e chiudere la prima parte più variegata nelle proposte dove hanno trovato spazio live brani come “Just one kiss”, Push” accompagnati da classici come “Burn”, “From the edge of the deep green sea”, “Play for today, “A Forest”, fino ai ballabili “Just like heaven” e “In between days “.
La seconda parte, per stessa ammissione dello stesso Smith, è stato ancor più marcatamente pop , con le maggiori hit che hanno reso famosi i Cure al grande pubblico. La festa è iniziata con un inattesa e gradita “The Caterpillar” per proseguire con l’osannata “Friday I’m in love”, “Close to me”, “Who can’t i be you” fino alla conclusiva “Boys don’t cry”.
La speranza (del sottoscritto e di molti presenti) di poter essere sorpreso da qualche chicca insperata e’ stata definitivamente delusa. è finito così con il pubblico dei Cure in delirio, visibilmente soddisfatto. Un pubblico particolare, in buona parte adulto, amabilmente nero vestito, nato e cresciuto con la band, con la quale ha condiviso travagli , inquietudini e angosce degli esordi ma anche illusioni speranze e prospettive dei periodi più recenti. Un rapporto simbiotico tra band e il suo pubblico in cui emerge, sempre piu’ determinante, l’auspicio che i Cure possano, al di là dell’attività live ormai consolidata, avere ancora musicalmente qualcosa da dire.