Un album per innamorarsi di loro (“The Monitor”, 2010), una summa artistica individuata all’unanimità (“The Most Lamentable Tragedy”, 2015), quindi un passaggio che se non direttamente poco ispirato, sicuramente più stanco, se non altro per i giri ridotti delle sue ballate (“A Productive Cough”, 2018) che aveva come rimesso in discussione il valore assoluto della band di Patrick Stickles.
Nemmeno un anno, e quindi per i Titus Andronicus c’è subito bisogno di rimettere le cose in chiaro con questo “An Obelisk”: e per avere tutto e subito, scomodando un’altra tragedia come quella dell’Elettra di Euripide, ci si affida pure ad uno stregone come Bob Mould in cabina di produzione, per quanto Stickles abbia in più momenti affermato la propria volontà di rispettare la separazione dei poteri per non rischiare di perdere il controllo e la personalizzazione di quella che, a conti fatti, è la sua macchina.
Riprendere il binario quindi, è questa la priorità : tornare a fare punk rock rumoroso, urlato ai limiti della furia, intenso e viscerale. E pezzi come “Just Like Ringing a Bell”, il singolo di punta “(I Blame) Society” o ancora “Beneath the Boot” sono più di una manifestazione d’intenti.
Va detto, un po’ di stanchezza si avverte ancora, vedi la seconda, monocromatica, metà strumentale di “Hey Ma” rotta soltanto dall’attacco di cornamusa, la comunque più energetiche “Within the Gravitron” e nella clashiana chiusura demandata a “The Lion Inside” e “Tumult Around The World”.
Prendiamo però l’aspetto positivo: come detto, il binario è stato ritrovato. Adesso c’è solo da ricaricarsi di quella potenza alla quale delle bocche da fuoco come i Titus Andronicus ci hanno abituato.
Foto Credit: Ray Concepcion