Purple Mountains è il nuovo progetto di David Berman tormentato poeta e musicista americano, deus ex machina di quei Silver Jews che partendo dal Tennessee hanno provocato una silenziosa rivoluzione nell’indie rock a stelle e strisce dei primi anni novanta contaminandolo con sonorità folk e country.
Sei album intensi e disperati (a cui ha partecipato anche Stephen Malkmus nel periodo pre Pavement) prima che la band si sciogliesse improvvisamente dieci anni fa per volontà dello stesso Berman che ha preferito ritirarsi a vita privata. Deluso dall’arrivismo di tanti colleghi e scioccato dalle malefatte del padre (il chiacchierato lobbysta Rick Berman).
Un decennio che David Berman ha passato nascondendosi in piena luce del giorno, coltivando nuove amicizie musicali (Dan Auerbach, Jeff Tweedy, Dan Bejar) e l’ambizione di diventare uno scrittore prima dei cinquanta. La chitarra continuava a languire in un angolo, presa in mano solo raramente e suonata come terapia per superare la morte della madre (a cui è dedicata “I Loved Being My Mother’s Son”).
Sono nate quasi per caso le dieci canzoni di “Purple Mountains” e ad accompagnare Berman in questa nuova avventura spuntano Jeremy Earl e Jarvis Taveniere dei Woods. Ascoltando questi quarantaquattro minuti colpisce scoprire quanto sia diventato divertente e autoironico David Berman.
Affabulatore, dissacrante e abile paroliere lo è sempre stato ma oggi sembra prendere tutto con malinconica filosofia e stoica rassegnazione. Sfoggia un sorriso sarcastico, appena accennato, che illumina il cuore spezzato di “That’s Just the Way That I Feel”, “All My Happiness is Gone” e “Darkness and Cold”. Earl e Taveniere lo trattano col rispetto che merita, creando elaborati arrangiamenti in bilico tra country, blues e psych folk che donano all’album una leggerezza inedita.
L’abilità di raccontare storie tipica di Berman ne esce rinvigorita, rafforzata e di momenti memorabili ne regala diversi: la celebrità di provincia narrata in “She’s Making Friends, I’m Turning Stranger” ad esempio o gli splendidi sei minuti di “Snow is Falling in Manhattan” e “Nights That Won’t Happen”. Brani simbolo della metamorfosi di un artista che sembra aver trovato pace e equilibrio. Riflessivo, doloroso, stranamente sereno un po’ come l’ultimo Warren Zevon.
“Purple Mountains” è l’album più melodico e accessibile mai uscito dalla penna dell’ex Silver Jews a cui la parola pop (sofisticato s’intende) non può e non deve fare più paura. Il disco della rinascita, non il suo capolavoro (titolo che spetta a “American Water” del 1998) ma ritorno promettente di una delle penne più affilate d’oltreoceano.
Credit Foto: Brent Stewart