Che siano dannati tutti coloro che credono che il Britpop sia solo Oasis, Pulp e Blur e pochi altri. Si dannati. Perchè non è vero. Non è giusto e non è logico fermarsi alla punta dell’iceberg, quando invece sotto il pello dell’acqua ci sono un sacco di band favolose. Limitarsi ai big non è nè corretto nè rispettoso. L’opera di scoperta e di ricerca dovrebbe essere costante e instancabile, per garantire il massimo gaudio alle nostre orecchie.
Cercando un po’ oltre ai nomi più grossi ecco che, ben presto, si troverebbero i Supernaturals, scozzesi guidati dall’estro melodico di James McColl. Tra le loro hit non possiamo non citare le irresistibili “Smile”, “Lazy Lover” e “I Wasn’t Built To Get Up”. Dopo il loro terzo album si erano presi una pausa, interrotta nel 2012, con un ritorno in pista culminato nel 2015 dall’album “360”. Ora è tempo del quinto album, il piacevole “Bird of Luck”, uscito in punta di piedi il 1 agosto. Il loro nuovo lavoro non è stato tanto osannato, come ad esempio quello degli Sleeper (bruttino tra l’altro), ma non per questo va snobbato. Questa grazia, questo muoversi in modo delicato e senza fanfare e questi toni più bassi, a dire il vero, sembrano perfettamente rispecchiare la musica attuale della band, che cala il ritmo e non ripropone più il power-pop degli esordi, preferendo muoversi in modo più morbido. E non è affatto un male. Sia chiaro. Tutto viaggia alla perfezione perchè la penna della band funziona ancora alla meraviglia nel tratteggiare brani che profumano di Beatles e Kinks, agrodolci, melodici e semplici. Canzoni derivative certo, ma se c’è gente che si strappa i capelli e le vesti per Liam Gallagher perchè non farlo allora anche per i Supernaturals?
C’è un buon brio in apertura, con il piano accattivante di “Bird Of Luck”, mentre “Negativity” è magia jangle-pop che ci rimanda direttamente ai Beatles anni ’60, con una facilità melodica impressionante. McCartney/Lennon sono evocati spesso, basti sentire la ballata pianistica “Well Well Well” o la mia preferita “Summer Girl”, che confermano quanto detto prima: i Supernaturals non vanno più di corsa (diciamo che solo “Magpie” alza i giri del motore), sono maggiormente riflessivi, ma questa dolcezza permette loro di concentrarsi sulle melodie (o sugli arrangiamenti, vedi i fiati che s’incrociano con i coretti deliziosi di “At This Time Of Year”), non sbagliando un ritornello che sia uno. Applausi meritatissimi anche per quel gioiellino pop che è la conclusiva “Country”, che sfodera un gusto degno del miglior Brian Wilson (peccato solo per il finale che poteva essere curato meglio, ampliando e allungando la coda sonora).
Morale della favola? Il disco è piacevolissimo. Bentornati cari Supernaturals!!