di Enrico Sciarrone

Per comprendere appieno l’unicità  e lo spirito dell’Ypsigrock provate, per un attimo, a pensare questo evento con il medesimo cast di band di alto livello e l’impeccabile organizzazione, idealmente, traslato e realizzato sul limitrofo campo sportivo o in un altra struttura nelle vicinanze. Certo, a livello musicale le performance sarebbero comunque professionali e impeccabili ma parleremmo della stessa cosa? No assolutamente. Qui a far la differenza è la location, non solo in senso oggettivo. Parlare della magia del Castello e non sottolineare l’unicità  degli altri palchi sparsi nel paese, del chiostro di San Francesco dove si sono svolti anche quest’anno tanti eventi collaterali al Festival (citazione doverosa l’esibizione di La Rappresentante di Lista), della Chiesa sconsacrata del Crocefisso (che ha visto il ritorno di Alberto Fortis), del dedalo di strade che compone il centro storico, le piazze in cui ritrovarsi e ritrovare i propri beneamini musicali in giro in assoluta tranquillità  e libertà , sarebbe gravemente riduttivo. Poi certo c’è lui, il Castello nella sua indiscutibile belllezza, capace di fatuare e affascinare anche il più ombroso e riluttante degli artisti. Ed è in questo tributo continuo a questa cornice quasi fiabesca che nelle precedenti edizioni abbiamo assistito spesso a veri e propri incanti musicali densi di emotività  e pathos indimenticabili.

Naturalmente neanche i protagonisti di quest’anno ne sono rimasti immuni altrimenti come potremmo definire, al di là  dell’indiscusso talento e spessore musicale , una performance cosi solida ed ispirata da parte dei National con un Matt Berninger mai cosi in vena, divertito e divertente il quale, in un paio d’ore, ha ripercorso in 23 brani, i passi salienti della propria storia musicale ormai ventennale, instaurando un feeling incredibile con il pubblico, incluso un paio di incursioni a sorpresa tra la folla e un encore finale (“Vanderlyle Crybaby Geeks”) cantato solo dai presenti che resterà  tra le emozioni da incorniciare per molti anni: la performance intera, trasmessa in streaming da Indipendent, è già  disponibile in rete.

The Field Mice

Spiritualized

O cosa dire dello straordinario e intenso “fluttuare” nello spazio vissuto insieme agli Spiritualized dell’ex Spacemen3 James Pierce, un emozionante percorso dove folk, distorsioni, gospel,psichedelia si sono fusi in modo meravigliosamente armonioso tali da “ammaliare “il pubblico presente fino ad un strepitoso encore dal sapore “natalizio”. Seppur in toni e contenuti diversi, anche il set elettronico/voce/strumenti di David August apprezzato e valido dj italo tedesco, suscitava un certo interesse tra gli amanti del genere e non (la dedica finale a Battisti ha fatto vibrare il cuore a molti).

The Field Mice

Fontaines D.C.

E se gli headliner sopracitati hanno fatto ben oltre il dovuto, anche gli “outsider” hanno buttato il cuore oltre l’ostacolo. Apprezzati per grinta e passione, seppur a mio parere ancora acerbi musicalmente, i Pip Bloom e le Let’s eat Grandma (quest’ultime meglio su disco), menzione particolare meritano invece gli “esordienti” (alle loro prime uscite discografiche, si sono formati nel 2014 e hanno all’attivo 3 EP) Giant Rooks dalla Germania, giovanissimi ma con le idee chiare ed una validissima proposta musicale, ma soprattutto Whispering Sons da Bruxelles e i dubliners Fontaines D.C. I primi, cresciuti a pane e Sister of Mercy, fautori di un sound molto oscuro e inquietante, non propriamente shoegaze e i secondi dichiaratamente post punk sull’onda di altri gruppi emergenti come Shame (presenti lo scorso anno) e Idles (toccherà  a loro nel 2020 ?). Hanno colpito per la personalità , presenza scenica e consapevolezza della loro forza e nel modo in cui si sono proposti, coinvolgendo fin da subito e incendiando il pubblico che ha pogato di brutto come da parecchio non accadeva.

Attenzione però non è stato solo rock, anche quest’anno si è sconfinato in territori lontani come nell’R&B e nell’hip hop. Da citare, per l’interesse suscitato, due artisti generazionalmente diversi come la giovane attivista e femminista sudafricana Dope Saint Jude, con il suo gruppo modello Salt-n-Pepa e il navigato belga congolese Balojii con il suo slang stranissimo: ciascuno con il proprio show trascinante e coinvolgente, ma uniti nell’impegno e nel messaggio militante per la rivendicazione delle pari dignita’ per le donne, il diritto allo studio e diritti umani per i piu deboli.

Ecco, Il piu grande merito dello Ypisgrock Festival e’ esser capace di produrre ancora emozioni (in un epoca di algidi mega festival) in un contesto del tutto speciale, in cui è possibile riappropriarsi del piacere di vivere la musica dal vivo nella sua piena accezione.