Ogni volta che Lana Del Rey pubblica un album il dibattito tra estimatori e detrattori della musica di Elizabeth Grant diventa sempre più caldo. Un feroce confronto a mezzo stampa e social su vizi e virtù di una donna (laureata in filosofia metafisica non dimentichiamolo) diventata massima rappresentante di un certo tipo di sensibilità  femminile.

“Norman Fucking Rockwell!” sembra aver messo tutti d’accordo, visti i giudizi positivi ottenuti. Ispirato alle opere del pittore americano Norman Rockwell, creatore del realismo romantico, è stato prodotto da Jack Antonoff con la collaborazione di Andrew Watt e Happy Perez. Già  prima dell’uscita ufficiale ogni dettaglio è stato dissezionato con attenzione: i singoli, la copertina in cui compare Duke Nicholson (nipote di Jack).

Lana Del Rey non cambia strada, non rinuncia alle eleganti ballate che l’hanno resa famosa creando un’atmosfera soffusa, come se cantasse sempre a lume di candela. I ritmi lenti, pacati, le si addicono. Lei lo sa perfettamente e li sfrutta al massimo in “Bartender” e “The Next Best American Record” in cui si sente lo zampino del compositore Rick Nowels e in “Fuck It I Love You” scritta insieme a Antonoff e Louis Bell (mago delle classifiche già  collaboratore di Taylor Swift, Lorde, Post Malone).

Vocalmente è migliorata aggiungendo sfumature a un timbro languido, carezzevole, ad alto tasso d’intimità  adatto al pop più sofisticato (“Love Song” ad esempio) che può anche cullare ma non graffia di certo. Quando i ritmi si alzano leggermente come in “Doin’ Time” (cover dei Sublime) il camaleontico Antonoff le cuce addosso un arrangiamento sbarazzino, divertente e ritmato che poteva essere sfruttato maggiormente nei brani seguenti e non solo nei minuti finali di “Venice Bitch”.

Elizabeth Grant ha ormai capito quali sono i suoi punti forti (le ballate strappacuore) e agisce di conseguenza mettendosi a nudo in “How To Disappear” e “The Greatest”, attimi d’intensità  in un album che ha nella ripetitività  il suo maggior difetto. Ben arrangiato ma poco spontaneo, formale nei toni, curato nei testi, romantico, decadente con un filo di ottimismo ma non certo un capolavoro e non meritevole dell’hype che lo circonda.

Credit foto: Pamela Cochrane