Diciamoci la verità : un nuovo album dei blink-182 nel 2019 non ha molto senso. Non per particolari demeriti da parte della band, per carità ; è solo che, arrivati a questo punto, è davvero difficile trovare una collocazione al trio di Mark Hoppus, Travis Barker e Matt Skiba, il cantante e chitarrista degli Alkaline Trio chiamato a sostituire un Tom DeLonge sempre più impegnato nelle sue ricerche in campo ufologico. Troppo vecchi per riuscire a comunicare con gli adolescenti di oggi, che negli anni d’oro del pop punk su MTV non erano neanche ancora nati; troppo giovani per cedere totalmente al richiamo delle tournèe autocelebrative, organizzate esclusivamente con il proposito di far felici i tanti trentenni/quarantenni che ricordano con nostalgia il finire dello scorso millennio.
Per restare a galla e non perdersi in una bolla temporale, con il nuovo “Nine” i blink-182 realizzano un album che guarda alle tendenze rock ultramoderne senza tuttavia snaturarsi in maniera esagerata, cercando quindi di non tradire i loro celeberrimi marchi di fabbrica. La scelta di non allontanarsi troppo dall’ovile ci dà qualche piccola certezza: canzoni come “The First Time”, “Heaven”, “Pin The Grenade” e la fulminante “Generational Divide” funzionano perchè abbastanza fedeli al verbo del pop punk più tradizionale e radiofonico, con riff immediati e ritornelli decisamente molto orecchiabili.
“Nine” fallisce miseramente quando a prendere il sopravvento è un inspiegabile desiderio di mettersi al passo con i tempi. Il che, purtroppo, avviene in quasi tutti i quindici episodi della tracklist. La band si affida a uno stuolo di produttori e songwriter in voga per sottoporsi a un lifting artistico volto a smussare ulteriormente gli angoli (come se ce ne fosse bisogno) e ricoprire di plastica una serie di brani assai deboli, ma confezionati come fossero delle hit.
L’introduzione di elementi elettronici e hip hop avrà sicuramente fatto felice il buon Travis Barker, che in “Nine” ci regala alcune delle sue migliori prove dietro le pelli; peccato per i fan della prima ora, costretti a mandar giù nel gargarozzo bocconi davvero poco saporiti (“Happy Days”, “Blame It On My Youth”, “I Really Wish I Hated You”). Quando una band composta da individui che si avvicinano alla cinquantina decide di fare il verso ai Fall Out Boy e ai Panic! At the Disco, difficilmente le cose finiscono bene. Un paio di anni fa ce lo mostrarono i Weezer con il tremendo “Pacific Daydream”; oggi ce lo confermano i blink-182, autori di un album destinato all’oblio dei cestoni dell’Autogrill. Se il pop punk novantiano è destinato all’estinzione, almeno qualcuno si sforzi di organizzargli un funerale degno!