Chi il prossimo 29 ottobre andrà al concerto dei The Struts al Fabrique di Milano avrà anche l’occasione di vedere dal vivo i King Nun, gruppo d’apertura della serata. Un giovane quartetto di South West London che ha cominciato solo da qualche anno a farsi strada oltremanica, con un singolo (“Tulip”) che nel 2017 ha catturato l’attenzione della Dirty Hit (etichetta di The 1975, Wolf Alice, The Japanese House) seguito da un EP (“I Hate Love”) che li inseriva tra le nuove leve del rock britannico.
I King Nun provano a distinguersi tra i tanti gruppi indie emergenti fin troppo simili tra loro, che finiscono inevitabilmente per farsi concorrenza. Attesi alla prova dell’album d’esordio, rispondono con l’esuberanza e la voglia di divertirsi di ragazzi appena maggiorenni. Gli undici brani di “Mass” sono un bignami del rock indipendente degli ultimi dieci o quindici anni e i quattro londinesi hanno studiato a sufficienza la lezione. Chitarre sfrenate in stile Kasabian, qualche eco dei primi Arctic Monkeys, ritmi sincopati con un filo di Franz Ferdinand.
Le ambizioni dei King Nun sono ben chiare e il frontman Theo Polyzoides sa scrivere melodie grintose (“Transformer”, I Saw Blue”, “Bug”,”Cowboy”) mettendosi spesso alla prova con ritmi più lenti (“Black Tree”). Particolare “A Giant Came Down” brano di chiusura dedicato alla cantante folk tedesca Sibylle Baier che mette in luce il lato più sentimentale dei quattro, pronti ad abbandonare il punk sfrenato degli scorsi anni per esplorare nuove strade.
Cosa manca quindi ai King Nun? Un pizzico di coraggio per andare oltre il già sentito, quel filo di personalità in più che faccia emergere anche su disco le qualità che li hanno fatti notare dal vivo. Detto questo “Mass” resta un buon esordio a base di rock in salsa british.
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