“Come puoi continuare nelle macerie e attraverso la terra bruciata?”
In una sola domanda Yannis Philippakis è riuscito a racchiudere il senso di “Everything Not Saved Will Be Lost pt. 2”, l’ultimo album dei suoi Foals.
Che sia un riferimento alla reale e preoccupante situazione climatica mondiale (ricordiamo lo striscione con su scritto “‘NO MUSIC ON A DEAD PLANET’ portato dalla band sul red carpet del Mercury Prize) o che venga presa più come una generica metafora sulle difficoltà della vita, l’album ci rivela il seguito della storia raccontata nella “pt.1” con il brano conclusivo “I’m Done With The World (& It’s Done With Me)”, ciò che accade dopo che tutto è stato messo a ferro e fuoco.
“Red Desert” è una breve traccia strumentale che funge da portale attraverso cui ci si immerge nello scenario post apocalittico di “ENSWBL pt.2”. Ci si ritrova ad immaginarsi in questo deserto ““ rosso, ovviamente ““ totalmente ricoperti di polvere, storditi. Le orecchie fischiano, gli occhi sono appannati, faticano a mettere a fuoco. Poi, all’improvviso, adrenalina e tachicardia. La mente ci urla un solo imperativo: “corri!”. “The Runner” è, tanto nel testo quanto nella musica, capace di rievocare questa corsa grintosa, che non può essere fermata da nessun ostacolo:
“Oh, if I fall down, fall down
Then I know to keep on running”
Nonostante le numerose cadute, giungiamo affannosamente alla meta. Un’oasi nel deserto, acqua, vita. La tachicardia non accenna a diminuire, ci guardiamo attorno sempre all’erta e cominciamo energicamente a lavare via (come suggerisce il titolo, “Wash Off”) la polvere da cui siamo ancora ricoperti.
Finalmente ripuliti riusciamo a riprendere totale lucidità solo con “Black Bull” (in cui ci sono evidenti reminescenze dei Queens of The Stone Age, bisogna dirlo) e la successiva “Light Lightning”, che si aggrappa all’incredibile carica lasciata dalla precedente e ne segue il flusso.
Yannis ha definito “Dreaming Of” come un omaggio alla città natale della band, Oxford, riferendosi più in particolare al momento in cui l’hanno dovuta lasciare. è un racconto, in musica, delle emozioni “agrodolci” che si provano in un momento del genere. Così abbandoniamo il deserto rosso, la sicurezza di un qualcosa che conoscevamo ma che ormai non è più lo stesso, qualcosa che non ha più nulla da darci e partiamo verso quello che speriamo possa diventare il nostro nuovo posto nel mondo. Questo brano segna un cambio di rotta, ci apprestiamo ad entrare in una parte dell’album totalmente diversa.
Atmosfere sognanti e suoni più morbidi ci accompagnano in questo viaggio verso l’ignoto. “Ikaria”, come la prima traccia dell’album, ci prepara alla traversata attraverso il suono di un pianoforte. Ci alziamo in volo come il mitologico Icaro a cui fa riferimento il titolo e di cui parla, tramite le parole “when I fall through the air, flew too close to the sun, with my wings all bound and twisted into one”, anche la successiva “10,000 Feet”. Planando tra le nuvole sorvoliamo quel deserto che ormai non ci appartiene più, godendoci lo spettacolo di un panorama che mozza il fiato.
A partire da “Into the Surf” il tema della morte ruba la scena. Quanto può essere tragico perdere la vita lontano dai propri affetti e dalla propria terra? è ciò che ci viene raccontato attraverso il suono di un dolce xilofono che riproduce il malinconico motivo già ascoltato nell’album precedente in “Surf pt.1”, che fa da ponte diretto tra le due parti.
Con “Neptune” il nostro volo si sposta in una dimensione più alta di quella terrestre. Un addio per la band rivolto alla loro Inghilterra, passando attraverso i paesaggi greci a cui Philippakis è affezionato per via delle sue origini.
“Hey, now it’s time to go
From the white wards of England
The crows line the rivers and roads
I wanna walk where I know
Through the olive groves
The sky that knows my name
It gave me away”
Si tratta di una riflessione su tutti i luoghi in cui ci si è sentiti a “casa”, ma che come tutto nella vita bisogna lasciar andare senza mai voltarsi, per salire sul gradino successivo.
“Nettuno” diventa il nostro nuovo rifugio, la terra non è più sufficiente, spariamo nell’etere.
Qui il rischio di trovarci davanti ad un brano troppo pretenzioso era dietro l’angolo, visti i ben 10 minuti di durata che lo rendono il più lungo mai registrato dalla band. Ma in questo caso non c’è un secondo che non valga la pena di ascoltare.
“ENSWBL pt.2” si rivela un album validissimo, più classicamente rock e meno “danzereccio” del gemello che lo precede, i cui temi principali sono molto ben centrati e che trasforma parole e suoni in immagini suggestive, ma che non si rivela tra i loro lavori più memorabili, se non per il picco onirico raggiunto nell’ultima parte dell’album (a partire da “10,000 Feet”) che riesce ad essere decisamente originale.
Photo by: http://qprime.com/artist/foals/