Iniziò con il successo degli Audioslave, finì con il catastrofico incontro tra Metallica e Lou Reed. La stagione dei supergruppi ha occupato una fetta importante del primo decennio degli anni duemila, dominato da queste apparentemente infallibili squadre formate da artisti acclamati e campioni delle classifiche. Sbucavano fuori come funghi, tutte quante con ambizioni altisonanti: far sognare i fan, cambiare le sorti del rock, girare il mondo in tournèe mastodontiche.

A distanza di tempo, credo si possa dire che nessuna di queste band è riuscita a ottenere davvero ciò che desiderava: se alcuni ancora ricordano qualcosa dei Velvet Revolver e dei Chickenfoot, quanti possono dire di avere memoria dei Tinted Windows, dei Rock Star Supernova, degli Army Of Anyone o dei tremendi SuperHeavy di Mick Jagger, Dave Stewart e Joss Stone? Tutti spazzati via dalla faccia della Terra, per il rammarico di nessuno o quasi. Eppure, tra tanta mediocrità , vi fu pure qualche esperimento fortunato.

Prendete i Them Crooked Vultures, per esempio: se a dieci anni di distanza dalla loro fugace comparsa siamo ancora qui a parlarne, un motivo ci sarà . E quel motivo è questo disco omonimo, l’unico partorito dalle fervide menti del cantante/chitarrista Josh Homme (Kyuss, Queens Of The Stone Age), del batterista Dave Grohl (Nirvana, Foo Fighters) e di una vera e propria leggenda dell’hard rock classico, il polistrumentista John Paul Jones (Led Zeppelin). Un trio da sogno per un lavoro che, pur non avendo fatto gridare al miracolo, colpì nel segno.

O quasi, almeno: all’epoca dell’uscita, non furono in pochi a sentire un influsso un po’ troppo “hommiano” nell’opera. Numerosi critici considerarono la band una sorta di doppione dei QOTSA: stesso approccio strambo e “robotico” alla materia, con una dose abbondante di sperimentazione che fa capolino negli episodi più difficili da inquadrare (la lounge music lisergica di “Interlude With Ludes”, il blues rock nervosissimo e drogato di “Reptiles”).

La scelta di lasciare il microfono esclusivamente nelle mani di Homme, a posteriori, probabilmente non fu la migliore: ascoltare la voce di Dave Grohl in un ambiente decisamente più stravagante dei Foo Fighters ““ bravissimi per carità , ma di certo non dei mostri di originalità  ““ sarebbe stata una gradevolissima sorpresa. Qui la troviamo esclusivamente in alcuni frangenti dell’esplosiva “Mind Eraser, No Chaser”, spigolosissima sin dalle prime battute, caratterizzate da un bel lavoro di incastri tra i riff di Homme e i robustissimi colpi sulle pelli dell’ex Nirvana.

Tutto sembra facile per i Them Crooked Vultures: complessità  e immediatezza si fondono in brani come “No One Loves Me And Neither Do I”, “Bandoliers” e “New Fang”, costantemente in bilico tra l’imprevedibilità  delle poliritmie e le certezze melodiche. La grandeur zeppeliniana incontra lo stoner più ruvido in “Elephants”, “Warsaw or the First Breath You Take After You Give Up” e “Spinning In Daffodils”, tre prove di maestria che da sole valgono l’intero album.

Fortunatamente, c’è molto di più: c’è la psichedelia sopra le righe di “Caligulove”, con un ipnotico assolo di John Paul Jones alle tastiere; c’è il groove martellante e dalle tinte “’60s di “Scumbag Blues”, un pezzo che non sfigurerebbe nella colonna sonora di un film di Quentin Tarantino; c’è il funk rock alieno di “Gunman”, talmente tirato che potrebbe far muovere le chiappe anche ai morti. Tredici canzoni invecchiate benissimo e da recuperare, nell’attesa di un possibile ritorno.

Them Crooked Vultures ““ “Them Crooked Vultures”
Data di pubblicazione: 16 novembre 2009
Tracce: 13
Lunghezza: 66:22
Etichetta: RCA, Sony Music
Produttori: Them Crooked Vultures

Tracklist:
1. No One Loves Me And Neither Do I
2. Mind Eraser, No Chaser
3. New Fang
4. Dead End Friends
5. Elephants
6. Scumbag Blues
7. Bandoliers
8. Reptiles
9. Interlude With Ludes
10. Warsaw or the First Breath You Take After You Give Up
11. Caligulove
12. Gunman
13. Spinning In Daffodils