Ci fu una svolta importante, 10 anni fa, per i Thirty Seconds To Mars di Jared Leto, che andarono a realizzare quello che, a conti fatti, è il loro lavoro più suggestivo e ambizioso. Un disco che esprime tensione fin dal titolo, con una band che cerca di liberarsi dagli schemi in cui sarebbe potuta entrare, piazzando album in fotocopia visto l’ottima resa e successo del precedente “A Beautiful Lie” (2005, gran bell’album, poco da dire). Una guerra con la casa discografica, una guerra interiore fra i componenti per esprimersi al meglio e tirare fuori tutto in un moto di vera sincerità e passione, una guerra che da i suoi frutti con un disco che abbraccia l’anima rock tanto quella più elettronica, in un equilibrio perfetto che la band non riuscirà più a raggiungere. Complice una produzione “furba” che introduce nuovi elementi senza però snaturare completamente il gruppo, che si dimostra invece capace di essere moderno, liquido, flessibile e intrigante. Anche più patinato e ‘easy’ se vogliamo, certo, ma non così tanto da disturbarci o da maledirli (quello lo si potrà fare dal disco succesivo a questo, fino all’ultimo, orrido, “America”).
Musicalmente possiamo tranquillamente dire che i punti fermi della band sono più che rilevabili: U2 (quelle bandiere bianche sul palco, nel successivo tour, ricorderanno proprio quella usata spesso dalla band di Bono Vox per il tour del loro terzo disco) e My Chemical Romance, ma al di là di questo c’è uno spirito coinvolgente e trascinante che avviluppa l’intero album, creando immediata empatia con l’ascoltatore (sopratutto i più teen, dirà qualcuno). L’uso (l’abuso, dirà qualcuno) dei cori dei fan che entrano spesso nei pezzi serve proprio questo, a rendere il tutto più epico ed energico (pomposo, dirà qualcuno), come se fossimo li con loro, in uno stadio, a goderci questo momento in cui essere presi e catturati dal sound. A fine disco l’idea è che questo è davvero l’album che Tom DeLonge avrebbe sempre voluto realizzare con i suoi AVA, ma per un motivo o per l’altro non c’era mai riuscito pienamente. Qui invece tutto funziona alla grande. Melodia, teatralità , esplosioni passionali, rock da stadio, momenti più raccolti, synth-pop quasi alla Killers e un pizzico (poco poco) di hard-rock: non manca nulla e la voce di Jared emerge alla grande. Ovvio, c’è chi storcerà il naso, giudicando l’album un passo falso e una vera e propria involuzione della band, piegata ormai a logiche di classifica e ad arrangiamenti buoni per le fanciulle emo, ma io no, non l’ho mai pensata così. Lo ammetto.
Il lato rock e carico si esalta tanto in “Kings and Queens” così come in “This Is War” e “Closer To The Edge” (quest’ultima dal drumming esaltante, vero e proprio omaggio a Larry Mullen degli U2), l’aspetto prettamente epico diventa palpabile ed emozionante in “Vox Populi” (dopo 10 anni ancora non riesco a non esaltarmi come un pazzo con tutti quei cori che esplodono nel brano), l’eclettismo intrigante (“Night Of The Hunter”), intimismo oscuro e synthetico (“Hurricane”), malinconia suggestiva (“L490”) e i lacrimoni (“Alibi”).
10 anni fa stravedevo per Jared e i suoi ragazzi, avevo pure il poster con il loro logo in camera. Ora, visti gli album successivi, diciamo che la penso assolutamente in modo diverso e vorrei che Jared si limitasse a fare l’attore, ma 10 anni fa, beh, 10 anni fa…
Pubblicazione: 8 dicembre 2009
Durata: 60:45
Dischi: 1
Tracce: 12
Genere: Rock alternativo
Etichetta: Virgin Records, EMI
Produttore: Flood, Steve Lillywhite, Thirty Seconds to Mars
Escape ““ 2:23
Night of the Hunter ““ 5:40
Kings and Queens ““ 5:47
This Is War ““ 5:27
100 Suns ““ 1:58
Hurricane ““ 6:12
Closer to the Edge ““ 4:33
Vox Populi ““ 5:42
Search and Destroy ““ 5:38
Alibi ““ 5:59
Stranger in a Strange Land ““ 6:54
L490 ““ 4:26