Avevamo già apprezzato il disco d’esordio di Luca Lezziero, così scarno, acustico ed evocativo, alla ricerca di un linguaggio formale che lo avvicinasse alla moderna canzone d’autore. Lo ritroviamo a distanza di due anni alle prese con un progetto condiviso con l’amico Stefano Giovannardi, e uno stile mutato, o per lo meno, contaminato, grazie proprio all’incontro con un musicista che parte da altri presupposti.
Sì, perchè Giovannardi ha un approccio decisamente differente riguardo alla forma canzone; laddove il paroliere Lezziero si nutre di melodie cristalline e suoni delicati e intimi, quest’ultimo predilige sonorità sintetiche, fluide, finanche destrutturate.
Il connubio artistico dei due, che si conoscono sin dalla giovane età ma che si ritrovano a collaborare dopo tanti anni in cui ognuno ha messo a frutto esperienze fra le più varie, porta con se’ risultati molto interessanti ed entrambi ne finiscono accresciuti dal punto di vista artistico.
Il nuovo sodalizio adotta la sigla due, a significare da una parte la dualità insita nel progetto, ma dall’altra appunto la forte unione e condivisione di intenti.
Ne scaturiscono 8 tracce di stampo esistenzialista, ancorate se vogliamo all’oggidì, visto e vissuto con occhi e cuore consapevoli delle brutture e delle ansie ma anche delle piccole speranze che ogni giorno possono essere alimentate.
Curiosa la genesi dei brani, che dà ulteriore credito al fatto che la collaborazione sia stata assai fruttuosa proprio dal punto di vista creativo, visto che Lezziero ha rivestito di parole e melodie 4 brani realizzati in origine da Giovannardi, e questi ha fatto la medesima cosa con 4 provini di Luca, creando basi e tappeti elettronici ficcanti.
Entrambi hanno in passato avuto a che fare fra gli altri con Cesare Malfatti (ex La Crus) e della band milanese si sentono degli echi in lontananza, specie quella relativa al primo periodo confluito nell’ottimo “Dentro me”: penso soprattutto all’iniziale “Poche le certezze”, dalle raffinate pennellate di tastiere, o all’eterea e spaziale “Tutto questo (senza di te)”, a detta di chi scrive uno dei brani più magnetici del lotto.
Altrove i suoni sono più compatti, come in “Per dirsi l’amore”, che rimanda a un’estetica post-punk; impregnata di atmosfera anni ’80, nella parte più nobile, è anche la metaforica “Il saltatore”, mentre “Il ritorno” e “Il futuro” sembrano mostrarci due facce della stessa medaglia, e centrifugano al loro interno suggestioni elettroniche e vagheggi new wave, con la prima che accentua il lato più sperimentale del duo.
Una menzione speciale la merita la seconda traccia: “Argilla”, non a caso scelta a rappresentare la raccolta. Forte di un testo più diretto e incisivo rispetto alle sette sorelle (pur non perdendo in lirismo), in cui prendono il sopravvento la disillusione e l’amarezza, spicca anche per una musica ipnotica e pulsante. La canzone è inoltre corredata da un video in bianco e nero – una sorta di piccolo cortometraggio – in cui compaiono i volti dei Nostri, nel tessuto di una storia d’altri tempi. Austero e molto elegante, al pari dell’artwork dell’intero lavoro.
“Due” è un album dai toni magari un po’ cupi ma ascoltarlo con attenzione permette di coglierne i ricami musicali, in apparenza semplici, e le varianti elettroniche.
Non è certamente musica da sottofondo: bisogna lasciarsi andare e predisporsi all’ascolto per comprenderne al meglio la profondità del linguaggio, ma rimane un progetto molto particolare e meritevole di attenzione.
Photo credit: Loretta Baiocchi