Beh, ma chi lo avrebbe mai detto? Avere fra le mani una nuova uscita a nome A Girl Called Eddy…giuro non ci speravo più. Ma, come nella migliore tradizione dei lieto fine migliori, non solo abbiamo il nuovo album di Erin Moran, ma, cosa decisamente gradita, quello che ci stiamo ascoltando è davvero una delizia.
Cambia la sensibilità rispetto all’esordio omonimo (datato 2004!!). La produzione inconfondibile di Richard Hawley, in quel disco, accentuava il lato più triste e intimo. Ballate toccanti, fragili e malinconiche sulla scia di Burt Bacharach, Nick Cave e Scott Walker che entravano nel cuore, ma non lascivano certo spazio a molti sorrisi. Ora, a distanza di tanti anni, la nostra Erin sembra voler anche prendere in considerazione momenti più solari, in cui lasciarsi andare in modo spensierato. I fiati fanno capolino e permeano le canzoni coinvolte da questo arrangiamento di una deliziosa patina anni ’70, con melodie decisamente chiare e brillanti, spesso delineate dalla presenza del piano.
La Moran ha eleganza da vendere, sia quando ci fa muovere e ballare con l’incalzante e super pop “Someone’s Gonna Break Your Heart”, sia quando ritrova il suo lato più pacato e toccante, come in “Big Mouth”, che ci riporta alla dimensione del primo album. Accanto a dei mid-tempo deliziosi (“Two Hearts” che esplode in un ritornello esaltante, dopo un giro un po’ alla Kinks e un po’ alla Electric Light Orchestra mescolati con i Thurman, dimenticati mini eroi britpop, e “Jody” che divampa magnifica nel soul finale), i punti salienti si trovano nella grazia di “NY Man” e sopratutto nella magnifica “Charity Shop Window”, che si abbevera alla fonte dorata di Burt Bacharach e Brian Wilson.
Aspettavo questo secondo album della cara Erin, però, accidenti, mai avrei pensato sarebbe stato così bello. Applausi a scena aperta.
Photo by Julian Simmons