Settimo disco per Peter e David Brewis questa volta in formazione allargata e in missione per conto dell’ Imperial War Museum, fondato durante la prima guerra mondiale per raccogliere testimonianze sul conflitto e sul ruolo svolto dall’allora Impero Britannico. Compito dei Field Music era creare uno spettacolo di luci, animazioni e musica sugli effetti e le conseguenze psicologiche e umane della Grande Guerra, progetto che hanno effettivamente messo in scena più volte da gennaio 2019 in poi.
“Making A New World” raccoglie la colonna sonora di quello spettacolo in un concept album che in altre mani e visti i tempi avrebbe potuto tranquillamente scadere nel patriottismo. I Brewis fortunatamente non fanno quest’errore, accettano la sfida e reagiscono con curiosità e una ricerca meticolosa di storie da raccontare. Diciannove brani che dovevano essere interamente strumentali diventano così una carrellata di volti e personaggi (tra i tanti spicca il Dr. Harold Gillies, medico neozelandese pioniere della chirurgia plastica e ricostruttiva, a cui è dedicata “A Change of Heir”)
Ordine rigorosamente cronologico, si parte dall’immediato dopoguerra provando a immedesimarsi in quei soldati che tornavano a casa pieni di speranze e quasi euforici (“Coffee or Wine” e “Best Kept Garden”) gioia che si trasforma gradualmente in una malinconia piena di dubbi. Non è il classico album sullo sforzo bellico, “Making A New World”. Siamo molto lontani ad esempio da esperimenti intensi come “Lament” degli Einstà¼rzende Neubauten, realizzato in occasione del centenario della prima guerra mondiale nel 2014.
Musicalmente i Field Music danno sfogo alla loro anima prog senza perdere di vista l’orecchiabilità pop venata di funk (“Money Is a Memory”, “A Shot To The Arm”) in un percorso ritmico e compositivo che a volte li porta a creare piccoli omaggi a XTC e Talking Heads (“Do You Read Me?”, “Only In A Man’s World”) altre a seguire il vento e l’onda lunga dell’ispirazione, creando piccole suite in più parti dall’evoluzione imprevedibile.
Difficile giudicare un progetto come questo dalle sole canzoni e la mancanza della parte visiva e visuale si sente, inutile nasconderlo. Lo sforzo è comunque apprezzabile, il risultato godibile. I Field Music scelgono la strada di un moderato ottimismo celebrando come l’uomo di fronte alle grandi tragedie sappia reagire trovando in se stesso risorse inaspettate.
Credit foto: Andy Martin